Esistono nomi facilmente riconducibili ad una regione, come il mio: Pasquale. Pasquale fa pensare ai vicoli assolati del sud; a un pallone scagliato con forza tra i meandri dei quartieri popolari; a una tavola attorno alla quale sono sedute almeno venti persone: i bisnonni, i nonni, gli zii, i nipoti, i genitori, i figli, tutti pronti a lottare per l’ultimo crocchè. E invece no, io non sono del sud.
Mio nonno lo era ed io ne porto il nome, gli occhiali e il sorriso. Ho 15 anni e non l’ho mai conosciuto. Mamma mi ha raccontato che una notte di vent’anni fa è uscito con la barca e non ha fatto ritorno. Dicono che cercasse la pesca fortunata, doveva essere la svolta per la sua famiglia, ma il mare non era d’accordo e lo ha inghiottito. Da quando me lo hanno raccontato, sento l’immenso blu nemico, è come se ne avessi timore. So che non dovrei, non lo ha fatto di proposito, ma io penso che avrebbe potuto almeno lasciarmelo conoscere, se non altro presentare. Invece è come se mi avesse aperto un’onda nel petto, che a volte diventa uno tsunami e non mi lascia dormire.
Forse è anche per questo che mi piace Luna; ha un’onda tatuata sul collo e quando si solleva i capelli quell’onda si propaga e arriva dritta fino a me, in qualunque punto della classe mi trovi. La marea, in quel momento, come per miracolo, trova una stasi. Viaggia e scavalca i compagni annoiati, le spiegazioni mai briose dei prof, i pizzini che girano con le soluzioni sbagliate di quelle equazioni che a nessuno riescono mai, tantomeno a me, che sono intento a non farmi bagnare dalla mareggiata. Ciononostante, gli schizzi mi arrivano dritti in volto e penso a come sarebbe bello guardare Luna al quadrato: da una parte astro lucente in cerca delle sue fasi, dall’altra figura umana incorniciata da lunghi capelli biondi e occhi neri come la notte. Mi sono sempre piaciuti i contrasti di colori e lei sembra portarli tutti dentro di sé, come un paesaggio che cambia ad ogni istante.
Ultimamente sono parecchio silenzioso, è l’età – dicono – ma non so se essere d’accordo o meno. Mica siamo tutti uguali noi quindicenni, e meno male direi. Non mi trovo molto a mio agio con i ragazzi di classe. Ieri ho sentito Marco che narrava le sue imprese a letto con Mena, la migliore amica di Luna; era lì a dare dettagli sulla sua nudità, sulle posizioni che avevano visto su Internet e imitato, e sulle remore di lei a farlo per la prima volta, si sentiva insicura. Lui allora le ha detto che se non voleva concedersi l’avrebbe lasciata, perché in tante gli correvano dietro e non poteva certo perdere il tempo a corteggiare lei, che non era nemmeno così carina! Mena invece secondo me è bellissima: ha i capelli corti corti e può permetterseli solo lei che ha un profilo da copertina, e denti bianchissimi che sembrano provenire da un altro continente. Ha un po’ di chili in più, ma a me piacciono: le donano rotondità, non appare mai spigolosa. Ha un seno generoso che Marco sta mostrando in foto, brandendo come un’arma il suo cellulare, e allora mi allontano. “Che c’è Spezzacate’? Le nudità femminili ti ripugnano? Pazienta ancora un po’, che adesso arrivano le immagini della mia mazza, quelle ti piacciono sicuro! Dove vai, Spezzacatè? Stavo giocando, lo so che ti piace la figa, se no mica te stavo a mostra’ ‘ste foto! È che c’hai poco coraggio, perciò Luna non te la bomberai mai! Se non ti dispiace, un giorno di questi ci provo io! Ma che fai? Lasciami subit.., ti faccio nero!”.
Non lo lascio, vedo rosso. Immagino le foto di Luna in circolo per tutta la scuola e lei che piange. Parto come un toro verso il drappo vermiglio, ma il torero è più forte, anzi no, è un branco di toreri e io ora vedo solo rosso. Non ho raggiunto il drappo: è il mio sangue fluente che scorre caldo. “Questa me la paghi, Spezzacate’!”.
Mi avvio verso casa, elaborando delle giustificazioni credibili da rifilare a mia madre per il mento che continua a gocciolare, e allora penso ai cinquanta euro che ho nelle tasche: era il mio compleanno ieri e nonna me li ha dati, accompagnando gli auguri sempre nello stesso modo. La cifra è aumentata, ma il ritornello resta identico negli anni: “Pasquale, questi sono da parte mia e del nonno. L’ho sognato, dice che ti stai facendo grande e che ogni giorno che passa gli somigli un po’ di più”. Non mi piace dire le bugie, ma non posso raccontare la verità a casa: mia madre si preoccuperebbe troppo e io non voglio, ha già troppi pensieri per la testa da quando ha ricominciato a litigare con papà ogni sera. Vorrei fare come quando ero piccolo e tuffarmi tra di loro riempiendoli di baci tutte le volte che uno dei due urla, ma sopprimo l’istinto: ho quindici anni, mi sentirei ridicolo! E poi chi sono io per pretendere da loro che si amino ancora se insieme non sono più felici?
Sfilo perciò la banconota dalla tasca sinistra dei miei jeans e la straccio. Sì, lo so che è da idioti strappare i soldi e che avrei potuto nasconderli, ma io detesto dire le bugie. In questo modo, raccontando che dei ragazzi sulla via di ritorno a casa mi hanno accerchiato con un coltello e derubato, è come se non ne dicessi propriamente una. In fondo è vero: i cinquanta euro non li ho più. Dirò che ho fatto resistenza e che le ho prese di santa ragione. Mamma mi rimprovererà per aver rischiato succedesse qualcosa di peggio, pretenderà di andare insieme a fare la denuncia e io dirò alla polizia di non ricordare il volto degli aggressori. Ero troppo scosso, impossibile prestare attenzione alla loro fisionomia, mi crederanno.
Mamma si agita, la sua furia contro ignoti si leva fino al cielo e io mi sento un pochino in colpa, ma alla fine ho raggiunto l’obiettivo: si beve la storia, disinfetta la ferita accarezzandomi i capelli e mi spedisce a riposo. Quando fa così, mi fa sentire ancora un moccioso; come faccio a farle capire che sono grande ormai?
Il giorno dopo ho un gran timore di andare a scuola, ma mi rassereno. Marco e gli amici non badano a me e pare che la tempesta si sia esaurita velocemente, come gli acquazzoni di fine estate. A Luna è arrivata voce del pestaggio e delle motivazioni: mi lancia uno sguardo fugace e mi dice: “Sei la mia onda!”. Sono molto felice per questa cosa e la notte sogno di essere in sella ad un wind surf; accanto c’è lei che si tiene stretta a me e insieme siamo in equilibrio perfetto, cadremmo solo se uno dei due si spostasse; siamo talmente in sintonia quando siamo vicini, che lontani proprio non sappiamo stare.
Stamattina mi imbatto in un contrattempo: sto cercando i miei jeans rossi e sono in terribile ritardo, c’è la verifica di latino e non posso consentirmelo: la Iascone non concede tempi di recupero, deve aver imparato a contare solo fino a sessanta: sessanta minuti esatti, non uno di più. Chissà se era così intransigente anche prima di saltare il fosso che separa alunni e docenti. Sembra una belva affamata di secondi, soprattutto al momento della consegna, immagino sempre che prima di correggere i compiti li maciulli e poi li divori. Come riprendano forma cartacea, non saprei dire, d’altronde tutti i prof hanno un segreto! Mi piacerebbe che ce ne raccontassero almeno uno, ma niente… Credono che alzare muri e creare distanze sia la strada giusta per conquistare credibilità, invece basterebbe prendere un piccone e fracassarle quelle distanze… allora sì che conquisterebbero la nostra fiducia, altro che credibilità!
Spero di incontrare un’insegnante come la Borraci. Noa mi ha raccontato che il primo anno di Liceo soffriva di tricotillomania e si strappava peli e capelli come se non le servissero. La prof se n’è accorta e un bel giorno li ha portati tutti in giardino; ha disposto le sedie in circolo e ha posto una semplicissima domanda: “Chi di voi è felice?”. Nessuno ha annuito: chi guardava a destra, chi a sinistra, chi fischiettava, fin quando lei non ha detto. “OK, comincio io!”. Ha aperto agli studenti una finestra sulla sua vita che loro ritenevano perfetta; scoprire invece che non lo era li ha avvicinati. C’è voluto un po’, ma ora Noa ha smesso di sentirsi diversa. Non ha più quelle strane chiazze sul capo, che sembravano pozzanghere vuote di acqua e di senso e ogni settimana c’è una sedia per lei posta in circolo nel giardino di scuola, la vedo sempre quando passo. Dio, quanto la invidio!
Mi sto distraendo e i pantaloni rossi non sbucano da nessuna parte. Potrei prendere quelli blu, ma i rossi li indosso a tutte le verifiche da quando sono arrivato alle superiori, e non ne ho mai sbagliata una; mi sono convinto che valgano come una sorta di mantello portafortuna. Mi ci copro e divento infallibile.
Ok, ci rinuncio: sveglio mamma, anche se oggi ha il turno di pomeriggio. Lei solo può sapere dove sono. “Paco, sono nel ripostiglio in attesa di essere donati. Scusami, mi dispiace, lo so che sono come un amuleto per te, ma ieri devo aver sbagliato qualcosa nel lavaggio e si sono stinti, son diventati rosa, non credo che vorrai indossarli così!”. “Mamma, ma che dici? Sono bellissimi, io adoro il rosa!”. Intono la canzoncina di Pink Panter e lei inizia a cantarla con me: sorridiamo all’unisono. “Ricordi? Mi concedevi di vederne una puntata prima di andare a dormire, impazzivo per le sue avventure!”. Metto così a tacere le sue perplessità con fare convinto, anche se non lo sono affatto. Marco e i suoi amici mi prenderanno in giro, ma non posso partire sconfitto in partenza. Le schiocco un bacio sulla guancia – a breve dovrò dar fine anche a questa dolcissima abitudine, sono adulto! – e mi avvio verso scuola.
“Wow, avete visto la nuova alunna di 3 C?”. Non sono neanche arrivato e già sento l’alito di Marco addosso. “Pare sia la sorella del nostro compagno di classe. Si fa chiamare Pasqualina, ma gira voce che le piaccia più il nome Checca. E noi siamo famosi per le nostre doti di accoglienza: Checcaaaa, Checcaaaaa, Checca! Vieni qui e facci ammirare questi pantaloni della stagione Primavera/Estate fanciulle! Che bello stile! È esattamente della stessa tonalità delle coccarde che si appendono alle porte quando nascono le femmine! Di’ un po’ … e tuo fratello dove lo hai lasciato? Si è per caso trasferito in una di quelle scuole piene di frocetti che sono verso i Parioli? Ah, non lo sai? Eppure vivete insieme, vi somigliate come due gocce d’acqua, anche se tu hai addirittura più peli di lui!”.
In quel momento passa Luna e muoio di vergogna. Non voglio soccombere e allora mi lancio verso Marco e Diego con tutte le forze che ho, in cerca di una virilità che non ho mai sentito il bisogno di esibire. Colpisco Diego all’occhio e sembra che stia avendo la meglio, quando una specie di sibilo moltiplica i lottatori. Sono in sei e io da solo; neanche il tempo di rendermene conto e sono già al reparto di ortopedia con il naso fratturato. Cerco di trovare il lato positivo e, mentre mi medicano, penso alla verifica di latino saltata e alla Iascone che stavolta non potrà sbrindellare il mio compito prima di assegnargli una sufficienza stentata, che suona comunque come un miracolo.
Mamma ha gli occhi lucidi stasera; in ospedale le hanno raccontato tutto e sento su di me lo sguardo della delusione. Pare che dica: “Perché non me ne hai parlato? Avremmo trovato un modo per sistemare le cose!”. Come faccio a dirle che a 15 anni anche sorseggiare un caffè con tua madre al bar è un’onta imperdonabile; che darle preoccupazioni mi fa sentire ancora più inadeguato; che non voglio sentirla più piangere la notte, NON per causa mia.
Papà è andato via di casa dieci giorni fa; la tentazione di andare a infilarmi nel suo letto è forte, ma non posso, ho un’età da ossequiare. Nessuno di noi due chiude occhio e la mattina il messaggio di Luna mi raggiunge appena in piedi. “Paco, non aprire i social, non abbiamo bisogno di loro, non abbiamo bisogno di niente e nessuno io e te, solo di un’onda da cavalcare insieme!”. Sono parole bellissime, ma la curiosità mi domina sin dalla nascita e ovviamente apro i social. Su facebook c’è una pagina intitolata “Il ragazzo dai pantaloni rosa” e la foto profilo è la mia. Ho il naso rotto e sanguino. Sotto si rincorrono commenti monotematici: dall’appellativo di “Checca” a “Magari tutto questo sangue ti fa tornare rosso quel pantalone, brutto frocio che non sei altro!”. “Stai alla larga da noi, la frociaggine è contagiosa!”. “Che dici, ora cambi scuola? Qui non ti vogliamo, sei peggio dei lebbrosi!”. Qualche post dopo ce n’è uno in cui appare una foto di me e di Luna: siamo in palestra e lei mi siede accanto con un’espressione dolcissima. Sotto scrivono: “Persino la ragazza più bella della scuola ha compassione di te, ti guarda come un cagnolino abbandonato, dopo che hai provato a farla godere, ma non ti si è alzato! E certo, a chi mai verrebbe duro imprigionato dentro a dei pantaloni rosa?”.
Mi sento svenire e non respiro bene. Mio nonno mi viene in soccorso e penso al mare. Quel mostro blu tanto temuto stavolta mi calma e vado comunque a scuola, ma non mi riesce neanche di terminare il viale alberato che la circonda, che già studenti di ogni classe mi indicano: qualcuno ride in maniera spudorata; qualcun altro si tocca l’orecchio con insistenza, mentre i più ostentano con malcelato esibizionismo i loro pantaloni scuri e i teschi che decorano le t-shirt all’ultimo grido.
Ho capito, torno a casa, non sono in grado di affrontare una giornata così. Luna mi vede fare retromarcia e mi raggiunge, ma sono fuori di me e le dico cose irripetibili, voglio restare solo. So bene che così la allontanerò, ma almeno lei così sarà salva, non permetterò che mi voglia bene per compassione.
A casa non c’è nessuno: mamma ha accompagnato Luigi a scuola, è piccolo, frequenta ancora le elementari, piangerebbe subito se mi vedesse così. Sono sollevato che non ci sia. Ieri sera a cena li ho ingannati bene entrambi: ero allegro, come sempre, anche se a un certo punto ho notato che la mamma mi fissava il braccio sinistro; non credo si sia accorta dei tagli, avevo la felpa, e poi non mi avrebbe mai lasciato andare a dormire senza un interrogatorio.
Luna mi raggiunge con un messaggio: “Le onde non sono fatte per arrendersi. Non ti infrangere. Mantieniti alto insieme a me. Ps: domani appuntamento insieme da Marzia alle 16? Sono arrivati gli smalti arcobaleno, mi sembrano l’ideale dopo questa pioggia torrenziale!😉”.
Non rispondo. Vedo tutto nero oggi, altro che arcobaleno! Nonno, che dici, vengo a cercarti al mare, mi aspetti?
Mi stendo sul letto e la sciarpa è lì, mi fissa. No, inutile proviate a farmi credere che gli oggetti inanimati non abbiano vita, è una grande bugia.
È blu. Se mi troveranno con questa al collo non diranno più che sono gay, è un colore maschile. Che cosa avranno di tanto sbagliato i gay, da generare quest’alluvione di odio? Proprio non lo capisco! Ma poi che ne so io a 15 anni della sessualità? Sull’argomento c’è un silenzio assoluto: a casa, a scuola… ne ho parlato di più persino con Stefano, al mare, forse perché sapevo che non lo avrei rivisto. Che paradosso: ci si sente più al sicuro con dei perfetti sconosciuti che con degli imperfetti conosciuti. Forse perchè la distanza aiuta: offre la garanzia dell’inviolabilità dei segreti.
Sono molto stanco. Non fisicamente, è dentro che mi sento spezzato, lacerato. Come si fa a possedere un’identità se tutti intorno provano ad affibbiartene una? È così importante essere qualcosa di definito, non possiamo esistere e basta? Non siamo mica dizionari. Però ora sento di doverle spezzare queste catene, non possono imprigionarmi, nessuno di noi è nato per restare legato in eterno, meno che mai ad una visione sfocata di sé stesso.
Afferro la sciarpa del nonno, mamma l’ha donata a me, mi sembra il modo più adatto per ricongiungerci. Ieri ho provato con la busta degli indumenti sottovuoto, ma con quelle si trova sempre la maniera di sgusciare via dalla plastica e ricominciare a respirare. La sciarpa invece posso legarla stretta alle scale di casa, manterrà. Ora ho 15 anni, non posso avere paura della morte. Devo chiudere questa pagina, così chiuderanno anche quella sui social. 27 like sono pochissimi, ma a me ne sarebbero bastati la metà per sentirmi come mi sento. Non ho paura, ora che ci penso bene. Dove andrò la gente ride di cuore, non per schernire qualcun altro. Dove andrò, mamma, papà, Luigi e Luna non ci saranno, ma neanche i miei compagni di scuola e questa cosa mi solleva più di quanto le altre assenze mi angoscino.
Là terrò la sciarpa con me, blu come il colore dei maschi, blu come il colore del mare, blu come il colore del nonno. Racconterà delle mie origini, che saranno anche il mio approdo.
Spero che i jeans non si stingano ancora: ho cercato su Internet, non sanguinerò, diventerò solo grigio, non c’è pericolo che cambino colore anche loro, dunque.
Sono felice, sto andando a fare giustizia. La vedo bene già da quaggiù, riesco a leggerne i contorni: sono rosa.
Parlate di me, di quelli come me. Tenete occhi vigili e mani puntate sulla giustizia. Siate sempre pronti a spezzare ogni tipo di catena, non importa come, l’importante è essere liberi.
Pasquale
Ad Andrea, a Giovanni, ad Amanda, a Carolina, ad Alessandro, a Gabriele, a Vincent, a Megan. A tutti i ragazzi che ogni giorno incrociano le nostre vite e che non siamo in grado di aiutare. Tanta comprensione, tanto amore.
Che il cielo vi sia più soffice della terra.
12 risposte su “Spezzacatena”
Letto tutto d’un fiato, mi ha commosso, mi ha colpito al cuore, mi ha fatto venire tanta tristezza e dolore per un ragazzo dolce e incompreso come Pasquale e soprattutto per tutti i Pasquale che ci sono e, a volte, noi non ce ne accorgiamo…chissà se un racconto come questo che punta al cuore, al nostro sentimento più intimo e nascosto, possa smuovere i sentimenti di qualche idiota, che per un capriccio o per un particolare insignificante, prende di mira qualcuno distruggendolo, distruggendo la sua vita, distruggendo la vita di chi gli è accanto.
Racconto davvero emozionante!!!
Bello,molto bello!
Bellissimo!🥹🥹
Grazie !!!!
Grazie mille! La speranza sta nella frase finale del protagonista: “Parlate di me, di quelli come me…” . Nessuno escluso, abbiamo tutti un dovere imprescindibile: difendere la libertà, in qualsiasi modo si esprima, anche per quelli che da soli non ci riescono.
Grazie di cuore per il commento.
Non riesco a smettere di piangere 😭😭
Mi sembra di aver vissuto tutto, dalla prima all’ ultima parola
Questa è la potenza della scrittura, non la mia, dico in generale. Informarsi, partecipare al dolore altrui, l’unica strada percorribile contro le brutture. Magari un giorno le demoliamo. Grazie per il commento ❤️
Non riesco a smettere di piangere.. il ragazzo dai pantaloni rosa.. e la scrittirece dall anima sensibile che scrive in questo modo così delicato di un argomento così risonante e difficile.. se solo si fosse dato il tempo per far diventare realtà la sua forza interiore… ma no, a quell età si è troppo fragili e confusi… almeno non si sarebbe arreso come un’ onda che si infrange.. che grande scrittrice sei. Complimenti
Mi sarebbe piaciuto conoscerlo, fare qualcosa, come penso anche a te. Se solo si potesse arrivare in tempo, capire in tempo, fare qualcosa per sconfiggere quell’enorme vuoto, a volte è davvero impossibile. Grazie infinite per i complimenti: riempiono il cuore 💓
Bellissimo Manu, mi hai emozionato. Grazie.
Laura
Grazie infinite a te, Laura ❤️
Finalmente Wonder Writer è tornata!
È facile, per chi conosce la tua innata disposizione all’empatia, immaginare quanto ti sia costato scrivere queste pagine, ma ne è valsa la pena! Ti ha consentito di farci vivere la vicenda con gli occhi del protagonista, con i suoi pensieri, col suo dolore.Una lenta, inesorabile discesa agli inferi.
E mentre soffriamo con lui ad ogni riga cresce la rabbia poiché, forti della corteccia che la vita ci ha fornito, abbiamo ben presente quanto siano “poca cosa” i problemi che per lui sono drammi insormontabili.
Invece Pasquale è solo un arbusto :non ha corteccia, ma solo sensibilità ed insicurezze. Desidera essere accettato ed apprezzato, ma la sua intelligenza, il suo carattere, il suo “spessore” gli impediscono di omologarsi al gruppo. Il dramma si compie proprio quando questa contraddizione gli diventa insopportabile.
Eppure la rabbia ci dice che a volte potrebbe bastare poco: la parola giusta al momento opportuno, un gesto, o forse una lettura, per aiutare un adolescente che soffre.
Ognuno di noi ha il potere di fare qualcosa, spesso non è facile, ma l’arma più potente è l’empatia.
Pur se ispirata ad un episodio reale, questa storia potrebbe descrivere decine di vicende simili, e forse questa lettura, opportunamente introdotta e commentata da insegnanti intelligenti, potrà aiutare altri ragazzi a forare la crisalide senza troppa sofferenza.
Lo spero tantissimo, io stessa ci proverò… vorrei ne nascessero milioni di farfalle. Grazie di cuore per questo bellissimo commento.