“Sensi di colpa io? E perché dovrei provarne, Lara?”.
“Dai, Ale, lo sai che ne soffri da sempre; saresti uno scrittore più che prolifico al riguardo, perché non pensi seriamente di scrivere un libro? Potresti intitolarlo “Io e quello che avrei potuto fare, se solo ne avessi avuto il fegato!”.
“Non fa ridere, Lara! Il tuo sarcasmo mi perplime. Non capisco se fai sul serio oppure no.”
“Mi senti per caso farfugliare? Sono molto stanca oggi, e la verità mi esce più fluida. Si è rotto lo scaldino; ho iniziato la giornata con una doccia gelata nella settimana della merla; l’anta della cucina si è staccata d’improvviso: ho rischiato di rimetterci la pelle, e tu che fai? Sei qui al telefono a parlare solo di te: di questa ragazza che hai appena conosciuto e -poverina- non sa ancora in quale guaio si è andata a ficcare; di tua madre che è rimasta sola e ogni volta che vai a trovarla pare ti sia stata affidata la risoluzione del rischio idrogeologico nel mondo; del tuo lavoro che non ti piace ma che resta sempre lo stesso; della casa nella quale non inviti mai nessuno perché ti fa sentire inadeguato e tuttavia non disdici; di un fantomatico figlio che avresti sempre desiderato, ma che- guarda caso- non hai mai avuto; della tua ragazza storica, che era la migliore di sempre, la donna che tutti sognano, la fata delle fiabe …blablablablablabla… e che hai abbandonato come un ladro nel cuore della notte. Ma dai! Che noia atroce! Sono storie che mi hai raccontato milioni di volte; ti avevo chiamato solo per un bicchiere di vino rosso. In alcuni casi è sufficiente dire no, sai? Ah… ogni tanto potresti fingere di chiedere come sto? E’ una frase facile facile, senza nessuna particolare implicazione emotiva. A chi l’ascolta procura piacere, indipendentemente se resti ad ascoltare la risposta, fidati. Ora devo andare; già ho conosciuto la fase depressiva: eviterei volentieri di duplicarla. Niente di personale, o mi ami o mi odi. Buonanotte, si è fatto tardi. Però domani… domani… mi prometti che proverai a sovvertire anche solo uno di questi sensi di colpa? Basta fare esattamente quello che ti passa per la testa, senza costruirvi intorno un castello di scuse, quelle non servono a niente e poi… vuoi mettere la soddisfazione di agire una volta tanto senza filtri? Riservali alle foto su Instagram, o almeno provaci! A domani”.
Lara non fece caso al silenzio che era calato dall’altra parte; il Bimby in funzione, musica Indie ad alto volume, la lavatrice in modalità centrifuga. Alessio aveva incassato, tutto qui. Si sarebbero sentiti il giorno dopo e amici come prima. Invece Alessio piangeva. Dall’altra parte del telefono piangeva, senza singhiozzi, in silenzio. Come quei bambini che cadono e dalla ferita zampilla sangue, ma devono a tutti i costi dimostrare a chi sta intorno che sono dei duri; che otto anni possono di colpo diventare trentotto e allora NO, non si piange: siamo grandi ormai.
L’indomani i due amici non si cercarono.
Alessio si era offeso, non aveva alcuna intenzione di chiamare Lara. La detestava a volte. Sì, perché rappresentava tutto quello che sarebbe voluto essere. Lei c’era stata sempre; quando era fuggito dalla casa in cui viveva con Elena perché aveva una relazione con un’altra e non trovava il coraggio di dirglielo; quando il padre morì e nessun abbraccio era riuscito a riscaldarlo se non il suo, mentre dissacrante diceva: “Era stanco di vivere il tuo vecchio, Ale. Smettila di frignare, dagli tregua: se la merita!”. C’era quando era stato bocciato all’esame di Diritto Privato, dopo un esaurimento nervoso violentissimo che lo aveva ridotto a ripetere in maniera compulsiva sempre le stesse cose: un cervello inceppato come uno scaldino a cui manca l’acqua. E c’era anche quando aveva messo incinta la sua prima ragazza e ad abortire l’aveva accompagnata proprio lei perché gli uomini non potevano entrare, e a casa quella ragazzina dagli occhi chiari e spauriti non lo aveva detto a nessuno. Chissà se un figlio lo aveva avuto, poi…
Ad ogni modo questa volta Lara ci era andata giù troppo pesante: vomitargli addosso tante verità -perché di verità si trattava- e tutte insieme! Per forza non aveva voglia di sentire la sua voce.
Lara, dal canto suo, fu risucchiata dal lavoro: curava la scenografia di un programma che andava in onda tutte le settimane e che ruotava intorno alle chat whatsApp delle madri degli studenti. Lei le considerava il male supremo, e avrebbe pagato oro per avere la stessa faccia tosta con cui il presentatore fingeva di interessarsi agli argomenti clou della trasmissione: offese quotidiane agli insegnanti; organizzazione di lavori a gruppi sulla scia di distribuzioni irrazionali e tendenziose; scelta di locali a tutti i costi alternativi per le feste di compleanno – una volta addirittura una di loro aveva fittato un camper gigante con Barbie umane per portare in giro le amichette della figlia -; indiscrezioni sulla vita privata di chiunque uscisse fuori dal coro, o proprio dalle suddette chat, per ovvi obiettivi di salute mentale.
Tutte le volte che Lara ideava una nuova scenografia, pensava sempre di voler ricreare nello studio un’adunata nordcoreana, una tappa della desertificazione in atto in Sicilia o un segmento di foresta amazzonica in pieno disboscamento. Così, giusto per provocazione; avrebbe volentieri collocato quelle donne lì al centro per vedere fino a che punto arrivava la loro dispercezione della realtà. Erano sperimentalismi degni di nota – pensava -, ma la regista non era lei e neanche la sceneggiatrice.
Le prove durarono fino a tarda sera quel giorno e, tornata a casa, era stremata. Prima di crollare, preparò in quattro e quattr’otto la valigia: l’indomani raggiungeva Leo, il loro amico di sempre, ad Amsterdam. Sarebbe dovuta andare con Alessio ma lui, dinanzi alle proposte che diventavano reali, reagiva in genere così: “Mamma non sta bene, non me la sento di lasciarla da sola, quanto mi piacerebbe però! Ho una causa importante martedì, non posso delegare nessuno, quanto mi piacerebbe però! Ho comprato i biglietti del teatro in quella data: aspettavo Servillo dal vivo da anni, non posso mancare, non mi rimborsano neanche. Quanto mi piacerebbe però!”.
Lara trovava sormontabili tutte le motivazioni, ma piuttosto che fare storie – Alessio era permaloso e lei non sempre riusciva ad essere paziente – aveva solo esclamato: “Tranquillo Ale, vado da sola, Leo ci aspetta da tanto, sarà felice ugualmente; lo sai che ha bisogno di distrarsi, non si è mai ripreso del tutto da quel giorno in cui la moglie gli ha portato via i bambini. A tirarlo su di morale ci penserò io, gli amici servono a questo, no? Però… me lo fai un favore? Potresti evitare di dire sempre che vuoi venire, salvo poi tirarti indietro all’atto effettivo? Alla nostra età si finisce per diventare ridicoli a furia di inventare scuse, e poi ognuno stabilisce le sue priorità, it’s ok. Vorrà dire che stavolta, invece di prenotare come al solito il parcheggio Long Term, mi accompagnerai tu in aeroporto e sventolerai il fazzoletto al gate. Ok? Dai, basta lamentele e rimpianti… Verrai al prossimo!
Così aveva liquidato l’argomento, ma Alessio non l’aveva più chiamata e alle 7.50 aveva l’imbarco. Pazienza. Afferrò il telefonino e prenotò il parcheggio. Non quello dell’ultima volta però. La mano viscida dell’autista della navetta, scivolata casualmente sulle sue gambe nude strette in uno short in piena estate, la ricordava ancora. Una smorfia di disgusto la pervase. “Ora chiamo Alessio e gli chiedo se viene a prendermi!”. Dall’altro lato il suo amico era sul divano davanti a “Le Jene”, la sua trasmissione preferita. Guardava una replica e la conosceva a memoria: quante lacrime per Nadia Toffa, avrebbe rivisto quel servizio all’infinito. Il display si illuminò. “Oh no, Lara! Non ho voglia di accompagnarla domani, farò finta di essermi addormentato, sono le 2 di notte, anche la mia insonnia potrebbe aver capitolato”.
L’indomani aveva la prima causa alle 10, poteva svegliarsi con calma. Lo fece invece all’improvviso alle 7.40 e il suo primo pensiero fu: “Lara! Sta partendo, quanto mi piacerebbe un suo abbraccio stamattina!”.
Sensi di colpa in progress.
Lara intanto era nel corridoio dell’aereo e cercava il proprio posto, sperando ardentemente fosse accanto ad un olandese. La fortuna le arrise e il volo trascorse senza contrattempi.
Trovò il Magere Brug sempre romantico – come avrebbe potuto Van Gogh non ritrarlo?- e decise di attraversarlo a piedi. Leo abitava poco distante da lì.
Le case si muovono nei Paesi Bassi: è un modo per dire agli uomini che sì, hanno avuto la meglio sull’acqua, ma loro mica restano a guardare immobili! Sono abbracciate le une all’altre per un miglior ancoraggio ma, fissando lo sguardo su una lontana dal branco, si evince subito che sono storte; sono, appunto, le dancing house.
Da una di queste si levavano risate fragorose adulte e insieme bambine; Lara le seguì, non ricordava esattamente il civico di Kerkstraat in cui abitava Leo. Col tempo il suo amico aveva vinto la causa in cui lo aveva trascinato la moglie, avida di ricchezze e di vendetta; dimostrato che non aveva mai maltrattato né lei né i suoi adorati gemelli; cambiato tre lavori, quattro case, adottato un cucciolo abbandonato, e finalmente ottenuto i suoi elementari diritti: leggere le favole ai propri bambini tutte le volte che fossero in cerca di magia; soffiare bolle di sapone multiformi e guardarci attraverso mentre prendevano la via del cielo; osservare al microscopio la struttura di tutto ciò che ci circonda, anche l’iride di un’amica appena conosciuta.
Lara bussò e fu subito festa. Ai bambini occorre poco tempo per scegliere se affidarsi o no a degli “sconosciuti”: è il loro incantesimo. Gli adulti hanno dimenticato come si fa, timorosi e diffidenti persino verso sé stessi.
I giorni passavano veloci; era un autunno particolarmente clemente e pareva fossero tutti e quattro in vacanza, ma in realtà lo era solo Lara.
“Come stai? Sono cinque giorni che non ti fai sentire; di certo so solo che sei arrivata a destinazione. Tu e Leo non chiamate mai. Sei arrabbiata con me perché ho dimenticato di accompagnarti? Ah, com’era stavolta il taxi driver? È riuscito a tenere le mani al suo posto o hai scoperto che davvero quel corso di Taekwondo poteva tornarti utile? Fatti viva, non ricordo quando torni, mi piacerebbe venirti a prendere”. Ale
Lara lesse il messaggio la mattina dopo. Quel giorno i bimbi erano con i nonni e ne approfittò per fare un giro della città con Leo: zaino in spalla e occhi in cerca di itinerari non convenzionali. Bevvero qualche birra di troppo – e non solo – così, dopo aver cenato in un ristorante thai e aver fatto sosta in un coffee shop, si ritrovarono a condurre conversazioni improbabili con gente improbabile. Risero e piansero insieme quella notte, e Lara andò in giro agitando il dito medio fino al portone di casa. A Leo, che le domandava divertito a chi fosse rivolto tale gesto, convinto di avere già la risposta, disse solo: “Ai disincantati. Ai bigotti. A chi giudica dalle apparenze. A chi non si fa mai gli stramaledetti cazzi propri. A chi crede sia venuta qui per cercare qualcosa che non riesco a trovare a casa mia. Ai finti open mind. A quelli che non credono all’amicizia tra uomini e donne, che derelitti! E ad Ale, che da quando lo conosco non mi ha mai detto ti voglio bene, ma continua a ripetere: “Mi piacerebbe!”.
“Lara, occhio al canale, stai camminando a zig zag e la bicicletta mi serve!”.
Il giorno dopo…
“Ciao, Ale… Sì, hai ragione, scusaci. Volevamo chiamarti ma ieri abbiamo esagerato… Sì, pensa che ci siamo svegliati testa e piedi sul divano. Sai che non avevo mai notato che qui le case hanno tutte dei ganci ben visibili in facciata? Leo dice che sono per consentire l’accesso delle bare, ma non capisco perché ultimamente pensa sempre alla morte, si vede che stiamo diventando vecchi; non potrebbero essere per una vasca da bagno, per una lavatrice o – che so – per un grande forno?… Sì, Ale, sto benone. No, non ho scoperto di avere una malattia terminale, cazzo dici?… Grazie, ma non penso di tornare questa settimana, mi hanno cancellato il volo ieri… Sì, dovrei lavorare, ma detesto quella trasmissione, lo sai che sto cercando un’alternativa da mesi… No, non mi è arrivata risposta da quel giornale, magari! In verità stamattina ho rassegnato le mie dimissioni, volevo dirtelo al ritorno, ma non so con precisione quando sarà… NO che non potevo parlarne prima con te, mi avresti detto di non licenziarmi se prima non avessi trovato un altro impiego, e io sono stufa di sentirti dire quale sarebbe la cosa giusta da fare, siamo diversi: siamo amici anche e soprattutto per questo. Non voglio trascorrere la mia vita ad aspettare il momento propizio per… Ma perché stai urlando, che ti prende?… No che non ho trovato un lavoro qua. Ancora con questi sensi di colpa?… No, non è perché non mi hai accompagnata, ma ti pare?… Sì, ho avvisato i miei genitori, ce la faranno a sopravvivere senza di me, tranquillo.”
“Ma io no!”. E attaccò.
Alessio era infuriato, anche se non capiva esattamente con chi: se con Lara, il cui pensiero in un millesimo di secondo si trasformava in gesto, o con sé stesso, che a furia di costruire giustificazioni per non affacciarsi alla vita, ci stava lentamente rinunciando. Accese una sigaretta. Quanto avrebbe dovuto aspettare per bere ancora vino rosso con la sua amica di sempre? Per quanto tempo avrebbe rimpianto quella serata della settimana precedente in cui la sua proverbiale pigrizia aveva avuto la meglio, e non gli era venuta in soccorso neanche la sincerità?
Chiamò Marco che lavorava in aeroporto, e gli commissionò il primo biglietto per “la città delle dighe”. Era per il mattino successivo ed ebbe tutto il tempo di cambiare idea almeno quindici volte. Lara non lo sapeva, ma Ale dalla morte del padre non aveva più volato. L’ultimo aereo su cui era salito era stato quello per dirgli addio, ma non aveva fatto in tempo. Da allora tutte le volte che si accingeva a solcare i cieli andava in debito di ossigeno. Aveva dovuto rinunciare persino a quell’incarico prestigioso a Malta. Appena comprato il biglietto, infatti, non aveva smesso un attimo di pensare a quella maledetta cabina pressurizzata. Quindi, al momento del viaggio, era partito di nascosto per Roma. Con il treno, chiaro. Girò la capitale i giorni necessari a giustificare la sua assenza e tornò tessendo le lodi de La Valletta.
Ora però stava accadendo qualcosa di diverso. Lara era volitiva: avrebbe trovato lavoro tra i canali, messo su famiglia con un olandese insolitamente moro, e imparato ad andare in bicicletta, lei che era sempre stata imbranata sulle due ruote. Non poteva sopportare il senso di colpa per non averla salutata, per non averla accompagnata, per non averle mai detto che la sua generosità istintiva e gratuita lo lasciava ancora oggi senza parole.
Partì. Si riempì di sonniferi, e una volta a destinazione gli steward furono obbligati a schiaffeggiarlo per fargli riprendere conoscenza. Quando aprì gli occhi era stordito, ma le prime parole che ascoltò erano in inglese e allora capì di avercela fatta.
Decise di prendere un taxi, non era in grado di arrivare a piedi alla meta. Si fermò a fare colazione in un bistrot, accanto al quale c’era un fioraio dove comprò dei tulipani coloratissimi. Nel biglietto vi scrisse: “Tutti credono che i tuoi fiori preferiti siano nati qui, ma le loro origini sono turche. Mi accompagneresti a cercarne le orme quest’estate?”.
Carta di credito alla mano, comprò due biglietti di sola andata per Ankara e noleggiò un’auto. Si fermò poi all’improvviso e scoppiò a ridere: sembrava essersi trasformato in Lara!
Dalle dancing house le voci arrivavano in strada: qualcuno stava giocando a nascondino con dei bambini, quanta energia in quegli schiamazzi! Ale bussò; una ragazzina bionda sdentata gli aprì e corse a rintanarsi tra le gambe del padre! Leo arrivò alla porta e lo strinse così forte che persino i figli ammutolirono; Lara lasciò cadere la benda che le avvolgeva gli occhi: erano bagnati di lacrime.
Fu un momento di sospensione in cui tutto il mondo scomparve. I tre amici erano di nuovo insieme dopo un tempo indefinito, e anche lo spazio assumeva fattezze surreali. Sarebbero potuti essere in qualsiasi punto del mondo.
Aprirono tre Amstel e dopo altre tre. Nessuno chiese ad Ale perché era venuto, né quanto avesse intenzione di trattenersi. Dalla terrazza del Museo delle Scienze videro il sole tramontare tra i tetti, mentre i bambini facevano a gara a disegnare l’arcobaleno più bello. Può in cinque menti esistere nel medesimo istante lo stesso pensiero? Sì: se non era felicità quella, non avrebbero saputo identificarla.
Il week end trascorse in fretta e venne il momento per Ale di ripartire; non era per niente agitato. Leo prestò l’auto agli amici e si recò a lavoro in bicicletta.
Lara guidò lentamente, erano in anticipo.
“Sono felice che tu sia venuto. Scusami per l’altra sera. Dirti ora che non pensavo quelle cose sarebbe ipocrisia, ma non era mia intenzione ferirti, credimi.”
“No, Lara. Non c’è niente di cui scusarsi. Se non fosse stato per le tue parole, non sarei mai venuto qua. Certo, i vini non sono il punto di forza di Amsterdam, ma tu nella mia vita invece lo sei. Basta condizionale. Ci vediamo quando torni, chiamami che ti vengo a prendere. Torna però”.
Si strinsero.
Mentre Ale ingurgitava sonniferi – è vero che non era nervoso, ma era sempre meglio non rischiare – Lara tornò a casa.
Cambiò l’acqua ai tulipani e scorse il biglietto caduto tra i croccantini di Lupita, il cane dalle orecchie enormi che proteggeva la famiglia.
Lo lesse, e gli occhi diventarono lucidi; in un istante afferrò il telefono e scrisse: “Vengo solo se mi accompagni a vedere i camini delle fate, ma dobbiamo provare a calarci all’interno, ti avverto. Torno, te lo prometto. Accadrà di domenica; tu la sera stessa tieniti libero: berremo vino rosso, di quelli seri. Di’ ai sensi di colpa che non sono invitati; loro non lo sanno, ma non hanno una vita propria: siamo noi che li creiamo, e solo noi che abbiamo il potere di distruggerli.
Ps: lo so che dalla morte del tuo vecchio non avevi mai più preso un aereo, e so anche che di Malta ignori persino se sia realmente un’isola. Sono fiera che tu abbia volato ancora. Forse un giorno necessiteremo di un gancio per uscire l’ultima volta dalla nostra casa, ma quante soddisfazioni entreranno insieme a noi in quella cassa? Ne sceglieremo una molto confortevole che ci consenta di avere in eterno il dito medio alzato.
Ti voglio bene. Per sempre”.
2 risposte su “Sensi di colpa”
Mi trasmetti sempre emozioni quando ti leggo…è questo è davvero meraviglioso!!!
Grazie, Tizy. La bellezza di un racconto sta nelle due righe che hai scritto tu❤
Love❤