Mia moglie stasera mi ha chiesto di lasciare il tennis. Dice che la trascuro e che sottraggo troppo tempo a lei e ai bambini. Io peró avevo appena undici anni quando ho iniziato a rincorrere quella sferetta gialla, e da allora non ho mai smesso di farlo. Mi fa sentire bene. Entro nel campo e un velo scende su tutti i disagi quotidiani. Colpire la pallina ha il potere di appannarli, non li metto più a fuoco e il tempo rallenta, come nello slow motion perenne in cui vivono le mosche: i problemi provano a schiacciarmi, ma io gioco di anticipo e li scanso. Per un’ora circa, per due volte alla settimana, godo dunque di un superpotere. La vita reale si allontana e il sudore prende il sopravvento. Dopo la doccia torna tutto come prima, ma che liberazione in quegli ace!
Ieri Flavia era bellissima. Non è appariscente mai. Ha spesso i capelli in disordine e ignora il popolo dei selfie, che oggi trionfa anche nello sport. Adoro la sua risata: è contagiosa persino con me, che ultimamente sono sempre nervoso. Spesso noto la gente che la osserva e mi viene naturale pensare che se avesse un décolleté più generoso farebbe voltare anche i muri. Non che così restino insensibili al suo fascino.
Forse anche a causa sua Elisa vuole che dica addio alla mia passione. Ogni tanto con qualche scusa fa incursione sui campi; mentre la guarda in tralice, io leggo chiaro il suo disappunto. Teme sempre che qualcuna le rubi lo scettro, e forse ha ragione a sentirsi minacciata.
Non è tanto tempo che la tradisco anzi, prima di marzo non avrei mai neanche immaginato di riuscire a farlo. Non mi piace per niente il concetto in sé, ma è più forte di me. Sono stufo delle incomprensioni, delle pretese e delle rinunce: cominciano davvero a diventare troppe. Flavia invece mi rilassa. Si vede che ha attraversato molte tempeste. Non le conosco tutte perché non le pongo domande – chissà se lo scambia per disinteresse – e poi la mia memoria è un meccanismo già fin troppo arrugginito; immagino però che debba aver trovato da qualche parte la ricetta della leggerezza perché con lei non c’è situazione che diventi insopportabile: di tutte riesce ad isolare il lato positivo e proiettarlo intorno a sé.
Qualche settimana fa, per esempio, eravamo a cena insieme e ci hanno servito i primi piatti dopo appena cinque minuti dagli antipasti. Il cameriere ha titubato nel tornare indietro e ha posato sul nostro tavolo le pietanze. Flavia era affamata e aspettava quei bucatini come un bambino la vigilia di Natale, ma avevano un aspetto poco invitante, e allora ho voluto assaggiarli: erano gelidi. Non mi ha consentito di rimandarli al mittente; ha mentito senza pudore, sostenendo che la temperatura centrale era ottimale, ma io la conosco e so che era una bugia. Quella notte abbiamo dormito insieme per la prima volta, e dalle 4 in poi non sono più riuscito a chiudere occhio. Ho mandato allora un messaggio ad Elisa e un soffio di tristezza le ha attraversato gli occhi, anche se si è voltata subito per non farmelo scorgere. Lei è così: troppo passionale per mandarmi all’inferno, troppo razionale per accettare il ruolo di amante. Così, quando le chiedo cos’ha, lei risponde sempre: “Niente”, anche se entrambi sappiamo che questa parola, pronunciata in quel modo, significa tutto.
Il suo sorriso cardiotonico comunque non c’entra niente con il tennis. Lei è solo quella parentesi che, svolta bene, fa indovinare il risultato di un’espressione, non mi è indispensabile. La racchetta invece sì. È l’unico strumento di evasione in una vita che assomiglia sempre più a una prigione. Si dice che negli anni ’70 le coppie resistessero meglio alle turbolenze, ma io non sono d’accordo. Tempo fa le sollecitazioni esterne erano minori e le passioni forse non le si sapeva neanche riconoscere: c’era il lunario da sbarcare e la famiglia era un microcosmo che spesso si richiudeva su sé stesso con la nascita del primo figlio. Anche io comunque, come i miei genitori, sono nato albero: non vado da nessuna parte e resto al posto che ho scelto come destino tanti anni fa, però una cosa a mia moglie e a parte dell’universo femminile la vorrei chiedere. E cioè come si fa ad essere così miopi nell’invadere senza scrupoli, sopprimendole, le passioni di noi poveri altri. Da quando Elisa viene ai campi e si intrattiene a vedermi giocare, infatti, quel velo sulle miserie quotidiane non scende più, e di conseguenza rincorrere la sferetta gialla non ha lo stesso sapore. È una specie di atteggiamento colonialista, quello di alcune donne, che mira a renderle imperatrici, ma a lungo andare le lascerà senza entusiasmo su un trono svuotato di significato.
È folle assistere alla distruzione dei rapporti dall’interno; ci si sente spettatori passivi di un disastro inevitabile, come se si guardasse da una bolla di sapone: qualsiasi movimento si compia, l’involucro scoppierà e si precipiterà al suolo senza paracadute. Così ho preso tempo; ad Elisa ho detto che ci penserò, ma poi sono corso sul campo e ho sperimentato ancora una volta l’adesione perfetta della mia mano alla racchetta, che mi ricorda il combaciare assoluto del mio corpo con quello di Flavia, quando non ci vediamo da tempo e facciamo l’amore.
Dopo aver giocato, mi sono infilato velocemente nella doccia. Non mi trattengo più a chiacchierare con Elio, anche se mi ha insegnato tutto quello che so ed è la persona più saggia che conosca. Elisa mi ha già chiamato tre volte con richieste di commissioni varie. È sempre così: anche quando non c’è, trova sempre il modo di invadere improvvisamente il campo e di colpirmi, come quel forsennato di Parche quando fece incursione agli ATP e accoltellò la Seles. Ero davanti alla TV e allora, come oggi, mi percorse un brivido. Non voglio finire ferito, voglio vivere. Voglio lo stesso spazio che concedo, ma senza mendicarlo. Agli angoli delle chiese non mi sento a mio agio. Ci servirà a stare meglio in futuro; dirò questo, una volta tornato a casa, a mia moglie. Ma ora non ho voglia di vederla. Non è venuta stasera solo perché aveva una mostra: una sua amica crea gioielli e lei non perde occasione per collezionarli, ormai è schiava delle apparenze. Anche io agli altri comunicherò questa sensazione?
I bimbi dormono da mia madre, sono al sicuro. Stasera mi sento libero.
Passo di fretta davanti agli spogliatoi femminili, senza salutare Flavia. Sento la sua risata dall’interno. Chissà con chi chiacchiera con quel suo sguardo che fa sentire a casa anche chi una casa non la ha. Preferisco non incrociarla. Le direi senz’altro una delle mie frasi composte solo dall’imperativo e da una negazione. Non lo riesco ad ammettere, ma ha ragione a chiamarmi “Non”.
Prendo la moto e fuggo fuori città. Sono diretto in un posto che ha il potere di rasserenarmi alla sola vista. Il proprietario è Elio e mi ha duplicato le chiavi; conosce la situazione e dice che posso andarci quando voglio. Sa che la vista dall’alto del colle placa i miei turbamenti. Devo aver letto troppe volte “L’infinito”.
Poggio il casco sul manto erboso e siedo nel mio angolo preferito. Ho dimenticato di accendere le luci e non ho voglia di tornare all’interruttore. Come succede quasi sempre, non deve essere avvenuto per caso perché nel silenzio della notte arrivano a farmi compagnia le lucciole, non le avrei viste altrimenti. Mio nipote ha solo 13 anni, ma mi ha spiegato che persino il loro modo di illuminarsi ha una motivazione. Sessuale, ovviamente. D’altronde, mondo animale e mondo umano sono molto più simili di quanto una persona comune possa ritenere.
Le poltroncine qui sono due, ma per riflettere ho bisogno di stare da solo e mi siedo per meditare. Assumo la posizione del pensatore di Rodin e il ginocchio mi ricorda poco dopo che – ahimé – non ho più vent’anni.
Credo di essermi addormentato.
Elio mi sveglia con delicatezza e mi porge un caffè bollente.
È quasi l’alba e non solo il cielo si è schiarito, anche le mie idee.
Domani dirò a Flavia che ci sono anime gemelle non destinate a stare insieme e che pertanto sarebbe giusto non s’incontrassero mai. Confido nel potere liberatorio del tempo. Sia per me, sia per lei.
Torno a casa da Elisa che, nel frattempo, non ha chiuso occhio. Salendo le scale, restituisco la linea al telefono: in memoria ci sono 78 chiamate e 45 messaggi. Non è colpa sua. Se l’avessero nutrita di carezze da bambina, saprebbe che amare una persona significa innanzitutto volerle bene e donarle libertà.
Ha gli occhi lucidi e la voce roca, deve aver urlato e pianto a lungo.
Pensando che voglia aggredirmi come al solito, preparo un tono più imperioso del suo, invece mi viene incontro, guardandomi come aveva smesso di fare da lustri.
Mi dice soltanto: “Domani pomeriggio mi iscrivo a pilates con Gianna. Detesto il tennis. Ho ordinato per te la racchetta di Djokovic, non è mai troppo tardi per diventare bravo come lui”.
Mi abbraccia come se mi stesse vedendo dopo giorni interminabili.
Non facciamo l’amore, ma questa sera nel letto le prenderò la mano e le chiederò di dormire sul mio petto, come facevamo prima del matrimonio. Magari cadrò finalmente in un sonno profondo, sono mesi che non so cosa significhi.
In fondo amarsi è anche questo. Riconoscere che abbiamo sbagliato, che sbagliamo e che sbaglieremo ancora, ma ciononostante ricordare che un giorno lontano ci siamo scelti e ci siamo resi vicendevolmente felici. Magari torneremo ad esserlo. Voglio provare ad avanzare al suo fianco su questa strada impervia, lastricata di difficoltà.
Mentre arrivo a tali decisioni, per un attimo mi attraversa la mente l’immagine di Flavia che distoglie il suo sguardo dal mio. Se si materializzasse innanzi a me in questo istante le chiederei che cos’ha, e lei mi risponderebbe semplicemente: “Niente”.
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Niente

4 risposte su “Niente”
La prima sensazione, la prima parola che mi è mi è venuta in mente è “sterilizzazione” per definire un rapporto moderno a metà tra l’amichevole e l’amorevole. Sterilizzazione per decontaminare da tutto quello che dà senso e sangue all’esistenza.Una violenza, una rassegnazione programmata chi sa da quanto tempo. C’è ,naturalmente , tanto altro in questa autopsia di un triangolo che si sistetizza nella chiusura del racconto. “Se si materializzasse innanzi a me in questo istante le chiederei che cos’ha, e lei mi risponderebbe semplicemente: “Niente”.”
Mi è piaciuto molto.
Grazie❤
Letto tutto, e partendo dal clic su un link è già molto. Nonostante il racconto avvincente metta in luce i 3 personaggi principali e ognuno può concentrarsi sui tratti che vuole del personaggio con cui ha più affinità, quello che a me resta appiccicato (il bello della lettura è che ognuno ci vede quello che vuole) è lo stato di flow (molto ben narrato) in cui si immerge Lui quando gioca a tennis; andrebbe insegnato ai ragazzi nativi digitali di ricercare costantemente quel qualcosa/qualcuno/quelchevogliono che li porti in quello stato. Provare quelle sensazioni credo sia fondamentale per lo sviluppo personale e facendo un’ iperbole chissà che alla fine il tennis non Lo stia salvando.
Grazie per il commento, mi ha emozionato. Credo che quello che dici non sia affatto un’iperbole: le passioni hanno davvero il potere di salvarci .
❤