Questo signore che sta parlando nella casa nuova di Gesù in un pomeriggio afoso come non mai, avvolto in un abito talare viola, mi piace. Sta piangendo per me, ma io non lo conosco. Ha un nome significativo che sa di lotte importanti e immagino sia perennemente impegnato nella caccia, la caccia al male. Mi viene da sorridere perché il mio strumento preferito veniva impiegato alla nascita come segnale di richiamo nelle battute di caccia, anche se quando vi ho poggiato la bocca per la prima volta, ho pensato a ben altro che ad animali uccisi. A saperlo poi che avrei subito la stessa sorte!
Mi presento: mi chiamo Giovan Battista, ma per gli amici sono Giogiò. O meglio, lo ero. Sto guardando da quassù la mia vita e non mi vergogno a dire che mi piacerebbe ancora stare laggiù, ma magari non oggi: piangono tutti lì. Sì, lo so che dovrei essere felice, intorno a me ci sono solo nuvole e beatitudine, ma non mi basta: non ho ancora visto un solo corno e, a dire il vero, neanche un violino, un’arpa, un oboe. Sento, sebbene sia così distante, le urla di mia madre; sta facendo un gran trambusto, lo immaginavo: ci andava giù pesante quando non ci comportavamo secondo le regole di casa, figuriamoci cosa potrebbe fare a quel ragazzo che mi ha sparato – Luca mi pare si chiami – se lo avesse tra le mani. Non lo ha però, e invece tra quelle di lui c’era una pistola, non me lo aspettavo, sono stato colto di sorpresa: il maestro d’orchestra ci insegnava a non perdere mai di vista le sue mani e i suoi occhi, mica gli suonavamo alle spalle! Non so se mi sarei alzato comunque se avessi sospettato che aveva un’arma, forse avrei semplicemente insistito con Marco per lasciar perdere e correre via. Però quella ragazza andava difesa: il motorino che stava parcheggiando è pesante, non è facile da reggere per una dalla corporatura esile come la sua, succede spesso anche a me di sbilanciarmi, che non sono esattamente mingherlino. E poi a Marco la maionese non piace neanche nel panino, figuriamoci in testa! Perché usarla come uno shampoo? Non l’ho capito neanche ora, che sono seduto su un arcobaleno.
Il maestro diceva sempre che gli strumenti sono tutti importanti, nessuno di meno o di più di un altro, e che orchestra fa rima con finestra perché se impari a “guardarci attraverso” ti trovi di fronte a panorami spettacolari. Anche Luca avrebbe dovuto suonare uno strumento, magari reggendolo si sarebbe affacciato su un campo di fiori in primavera e non nel degrado della nostra sventurata città. La pistola produce solo rumore, non è melodiosa come le note. Non ho capito bene quale colpo mi abbia ammazzato, non li ho sentiti arrivare, ho avvertito solo un boato, ma io, al di sopra delle urla, stavo cercando il fa acuto, la mia nota preferita. La cerco sempre, anche quando non sono intento a suonare perché tutto quello che ci circonda si può trasformare in musica, basta non perdere mai la forza di inseguire il ritmo giusto.
Ho chiuso gli occhi e ho pensato che stessi sognando, ho visto il mio corno rilucere: c’era un segnale brillante ad indicarne la traiettoria e allora l’ho seguito. Quando ho riaperto gli occhi Marco non c’era, la ragazza del motorino neanche, e Luca men che mai. C’ero solo io. Ci sono solo io anche ora. Qui non esistono porte e una voce soave di qualcuno che non posso vedere mi ha condotto davanti ad un’apertura gigante: sono improvvisamente al cinema e vedo una piazza contornata di fiori e di scritte, qualcuna recita: “Giogiò vive”, ma allora sono morto davvero? E perché, se non ero neanche malato? Adesso quest’uomo in viola me lo svelerà: ha i tratti buoni, e delle persone buone che conducono battaglie ci si deve sempre fidare, non sono tante.
Faccio fatica a riconoscere i volti della gente, la maggior parte non l’ho mai vista e mi chiedo perché è qui. Per me? Non ero famoso… o lo ero diventato e non lo ricordo? Ah, no, ecco, lo stanno spiegando. Tutti in silenzio, per favore, vorrei ascoltare, vorrei capire! Come sono morto? Luca mi ha sparato sì, ma perché se non gli avevo fatto torto? Ehi, ma le sentite le mie domande? Perché continuate a piangere tutti e non provate a darmi una risposta? Aiut… ma sei impazzito? Mi hai spaventato ad entrare di soppiatto qui alle mie spalle! Ma, aspetta! Io ti conosco! Sei… sei… sei Luca! E che ci fai qua, come hai fatto a salire così in alto, non puoi! Se mi hai ucciso tu, io e te non possiamo vivere nello stesso Aldilà!
“Ciao, Giogiò. Sono stato ucciso anche io.”
“Ah, sì? E da chi? Da Marco, mi ha vendicato? Dalla ragazza del motorino, si è ribellata? Da mia madre, ti ha trovato alla fine?”.
“No, non è stato nessuno di loro. Mi ha ucciso Niente”.
“Non ti sembra di mancarmi di rispetto, Luca? Stai giocando come Ulisse con Polifemo? Dovrò dire che mi ha ucciso un ragazzo che poi è stato a sua volta ucciso da Niente? E poi come fai a conoscere l’Odissea? La gente laggiù sta dicendo che a scuola non andavi mai!”.
“Non c’è bisogno di aver letto dei libri per conoscere Niente. Niente è quando sorge il sole e nessuno insiste per mandarti a scuola; Niente è quando cerchi qualcosa da imparare e tuo padre ti insegna a rubare orologi; Niente è quando hai fame e in casa non c’è nessuno a cucinare; Niente è un campetto di calcio devastato da erbacce e sassi e il sangue che ti scorre quando provi a saltare un avversario che ti corre incontro ringhiando; Niente sono gli amici con cui giocare che non hai, se giocare non significa provare a centrare l’obiettivo con una pistola in una campagna fuori mano; Niente è rientrare alle due di notte a 17 anni e non ricevere alcuna telefonata per sapere dove sei, con chi sei, cosa fai, quando torni. Niente tu non lo conosci, non puoi sapere che bocca grande e spalancata sempre ha. Finisce per ingoiarti perché ti attrae: ha i denti splendenti e ben curati. Ti accorgi che è piena di carie solo una volta che sei entrato; ne avverti l’alito fetido ma ti ha già morso un orecchio e con quell’altro che ti resta non senti più granché. E allora, per paura di perderti, ti fai largo e ti avventuri al suo interno un po’ di più. Ed è lì che ti perdi veramente, ma ormai è tardi. Nessuno ha lasciato fuori un filo rosso da riavvolgere per fuggire. E ti senti forte, assai forte, e invece sei debole, il più debole di Napoli, il più debole d’Italia, il più debole d’Europa, il più debole del mondo. Sei diventato Niente nelle mani di Niente. Hai capito, mò?”.
“Sì, Luca, ho capito. Ma ora che ci è tutto chiaro, non è che possiamo tornare giù? Puoi chiederlo tu al signore di cui sentiamo solo la voce per favore? Io ne ho un po’ timore.”
“Giogiò, ma i’ n’ ‘a sent’ ‘sta voc ch vai ricenn’ tu, allo’ nun aj capit manc ‘o cazz’? È chest’ ‘a differenz tra nuje: a me m’ha accis Nient’, a te t’ha accis ‘n ‘omme ‘e nient’ ! (Giogiò, ma io la voce di cui parli non la sento, allora non hai capito proprio nulla? È questa la differenza tra noi: io sono stato ucciso dal Niente che c’è intorno a me, tu da un uomo che non vale niente, come l’ambiente senza speranza in cui vive).
I ragazzi si guardano ancora come intontiti e poi tornano ad affacciarsi dalla grande apertura sulla piazza. In una stradina laterale a poche centinaia di metri c’è una scuola dell’infanzia. Una mamma giovane, bellissima e sorridente, stringe la mano della propria piccola. Avrà al massimo tre anni, occhi enormi e bizzarri codini che ne fanno intuire la simpatia. È tutta vestita di rosa, compresi lo zainetto e le scarpe, e tiene la mano della mamma, che forse deve lasciare per la prima volta. Non piange e, anche se ha un ciucciotto con la sagoma di Bamby che le copre le labbra, se ne intravede il sorriso: spensierato, fiducioso, incantato. I ragazzi la osservano; a 200 metri il padre di Giogiò stravolto rilascia una dichiarazione: dice che la città ha ucciso suo figlio e urla con rabbia ai ragazzi lì intorno di andare via da Napoli . “Fuggite, dice. Io farò lo stesso!”. Dietro di lui compare a passo lento il signore in abito viola. Lo abbraccia come se ne volesse incamerare ogni frammento di dolore. Qualche attimo dopo si stacca dalla stretta, si rivolge agli stessi ragazzi e sommessamente dice: “Restate. E fate la rivoluzione!”.
La bimba dai codini gli sorride. Sta soffiando dentro il corno di Giogiò, anche se nessuno sa come sia arrivato tra le sue labbra.
4 risposte su “Giogiò”
Ho gli occhi lucidi e un peso al petto . Aspetto la rivoluzione.
Siamo sicuramente almeno in due! ❤️
Finito di leggere il racconto con la voglia di dire qualcosa, ma senza averne le parole, potrebbero solo appannarlo. Quindi resto in questo silenzio densissimo . C’è tanta vicinanza a questo scritto, che non contiene giudizi ne’ luoghi comuni.Si puo’ solo condividerlo con gli altri. Grazie
Come si dice talvolta, e qui forse i luoghi comuni ci vengono in aiuto, il silenzio in alcune circostanze vale più di mille parole. Grazie a te.