“Perché mi state guardando in cagnesco, e poi… quante siete? L’ho protetta dai colpi con le mie foglie secche, non come quel ragazzaccio che l’ha fatta rotolare fin qui. Avrei chiamato qualcuno se avessi avuto la voce, ma ho capito subito che neanche lei l’aveva più: troppe ferite, troppo sangue, mi sono anche sporcato! No, non sto recriminando: è che avrei voluto far qualcosa, ma ormai era troppo tardi. È venuto qua perché vivo nascosto, semi-abbandonato, o almeno lo ero fino ad oggi. Chissà quanti sgradevoli aggettivi mi avete affibbiato il giorno in cui sono entrato nelle vostre case, ma io che colpa ho in questa disgrazia? Soffro della fama del lago: tutti si occupano soltanto di lui; in certi giorni andrei con una pompa idrovora a prosciugarlo, è più bello e più attraente di me con quei grandi occhi azzurri!”.
Dal gruppo di donne se ne stacca una: “Lo vedi che sei aggressivo anche tu? Cosa ha fatto il lago per scatenare la tua rabbia? Il fatto che sia più bello di te è una colpa? Sai cosa significa prosciugare? Significa togliere la vita. Vorresti togliere la vita al tuo vicino solo per gelosia? E come lo chiameresti questo? Raptus? Scommetto che ora ci racconterai che sei sempre stato un buon canale, mai sopra le righe, e che non hai mai emesso un lamento nonostante la spazzatura ti piombi addosso tutti i giorni. Aspetta, fammi indovinare… sei silenzioso, ogni tanto apprensivo e qualche volta appena possessivo. Giusto? Ho indovinato? E poi… giurerei che non sei solito litigare con nessuno: con le strade, con i passanti, con gli specchi d’acqua. Vero?”.
“Ehi, ma cos’è, un interrogatorio? Ho capito, è per via di come mi chiamano: canalone, vallone… e non è l’accrescitivo che vi indigna, è il maschile. Di cosa mi state incolpando? Ho fatto quel che potevo, non ho le mani io. Le avrei usate bene, se me le avessero fabbricate! Come dici? No, non è vero che siamo tutti uguali, avrei voluto aiutarla, davvero! Non sapevo neanche ci fosse una persona lì dentro; ogni tanto qualcuno scarica gli scarti delle industrie! Un giorno hanno fatto rotolare dei barattoli di vernice colorata, sembravo Arlecchino! Ci sono voluti non so quanti mm di pioggia per ridarmi il mio vestito! Dai, si sa che noi uomini siamo un po’ superficiali, era così per dire, e poi… dove la prendo una pompa idrovora?! E cos’è questo furore accecante? Che ha questa ragazza di diverso dalle altre, mi pare di aver capito che moltissime prima di lei hanno subito la stessa sorte; io stesso assisto quotidianamente a mille violenze di questo tipo, ma non c’è mai stato un tale spiegamento di candele, né queste urla feroci; era mica una vostra parente?”.
“No, non lo era. Anzi sì, lo era. Era una di noi. Noi donne siamo tutte parenti, ma ci chiamano figlie di un dio minore. Brilliamo senza brillare, eccelliamo senza eccellere, siamo libere senza poterlo essere.”
“Voi a me sembrate più lucenti che mai. Siete tutte bellissime, avete la schiena dritta, la fronte alta, sui vostri volti non si legge la parola paura, io almeno non la leggo. Secondo me siete solo troppo insicure; origlio le vostre conversazioni con gli uomini, perché talvolta subite, senza ribellarvi?”.
“E cosa avresti ascoltato? Facci sentire, tu che hai nelle tasche, oltre alle foglie, la soluzione ai nostri problemi!”.
“Non ho nessuna soluzione io. Qualche giorno fa, però, ad esempio, si sono appartati qui due giovani e hanno fatto l’amore. Sì, lo so che non avrei dovuto guardare, ma trascorro tutta la giornata da solo, non ne posso più di contare i granelli di terreno. Beh, insomma… Da come si tenevano le mani mi sembrava si amassero, però all’improvviso, dopo aver goduto, lui ha iniziato a criticarla fisicamente: parlava delle sue imperfezioni, come se lei non le conoscesse, e la ragazza si faceva sempre più piccola. Il giovane non mi sembrava un adone anzi, guardandolo bene, era buffo e mi è venuto da sorridere, ma solo per un attimo: il tempo di rendermi conto che lei piangeva. E allora, visto che ora siete in tante qui di fronte a me, sapreste spiegarmi il perché? Perché quella ragazza non ha aperto la porta e se n’è andata via, sbattendola? Perché ha abbassato gli occhi senza ribattere e quando li ha alzati ho potuto vederne solo le lacrime? Me lo spiegate? Io non capisco!”.
Ada avanza. Ha lo sguardo affilato e trascina Clara per un braccio. “Vuoi rispondergli tu?”. La ragazza si avvicina: ha gli occhi verdi come le olive appena raccolte e un’espressione triste che sembra un’ammissione di responsabilità. “Non conosco la risposta. Non so perché alcune di noi soccombono. Siamo convinte che l’amore significhi dolore e allora soffriamo. Gli uomini ci dicono che vivono per noi e noi, cretine, gli crediamo. Quando escono con i loro amici ingoiamo litri di camomilla e nonostante tutto non ci rassereniamo, convinte che ci tradiranno. Fanno a botte per noi e questo ci fa sentire desiderate, protette, al punto che quasi li incitiamo quando continuano a tirare calci al fianco dell’avversario che giace per terra. Dimentichiamo che il sangue ci fa paura, ci sentiamo potenti in quegli attimi, e invece stiamo diventando più deboli, più indifese. Non sono loro a proteggerci, siamo noi a doverci proteggere da loro.”
Ada le prende le mani, la tenerezza ha preso il posto della rabbia; insieme si girano verso il canalone che, preoccupato, esclama: “Di chi stai parlando? Non di te, vero? Sei libera ora?”.
“Sì, sono libera, ma non mi sono liberata da sola, non ne sono stata capace, eravamo giovani. Io lo avevo da poco lasciato – si chiamava Claudio – ed ero partita con le mie amiche per Capodanno. Eravamo a Positano, le luci risplendevano nel paesino, e la villa in cui eravamo state invitate era addobbata a festa. Le grida, gli spintoni, le umiliazioni che sua madre mi riservava davanti a lui, i commenti sgradevoli degli amici, le scenate di gelosia… era finalmente tutto sbiadito. Eravamo allegre e stavamo ballando. Lui piombò all’improvviso nel bel mezzo della pista. Era fuori di sé e continuava a dire che ero vestita in maniera troppo provocante. Avevo un vestito che lasciava scoperta la schiena, sulla quale Ada aveva scritto 2000, l’anno che si era appena affacciato. Mi disse che dovevamo andare via, che aveva bisogno di stare da solo con me e che se non fossi tornata a casa con lui, si sarebbe ucciso. Aveva una Peugeot bianca dal motore truccato, con cui era solito correre accelerando nelle curve, e io gli credetti. Me ne volevo liberare perché mi soffocava, ma non avrei mai accettato che si mettesse in pericolo per causa mia. Era solo una bugia che gli serviva per stringere il giogo. Me ne andai con lui e una volta a casa i nostri corpi si unirono. Quando tornò dal bagno, vide il mio vestito poggiato sulla poltrona accanto al letto e un lampo lo accecò.
Non so cosa gli balzò in mente, so solo che iniziò a stracciarlo emettendo dei suoni che non avevo mai sentito; mezza nuda riuscii a fuggire di casa con le chiavi dell’auto. Fu veloce, ma non abbastanza, e raggiunse la portiera girandola sul suo asse, ma io avevo già messo in moto. Non dimenticherò mai cosa successe dopo. A volte, nel silenzio di casa la sera tardi, quando mi rilasso e accendo le candele, vedo ancora i suoi occhi indemoniati dallo specchietto retrovisore: era salito sul tettuccio e mi fissava, tirando pugni all’abitacolo. Fu allora che Ada comparve: nel silenzio assoluto di un intero parco in pieni festeggiamenti ma di colpo ammutolito, arrivò lei. Sembrava essere uscita direttamente dal film di Ridley Scott, ma la mia amica non era Louise e non aveva una pistola: gente come noi non saprebbe neanche dove procurarsela. Mi fece segno di frenare di botto e io obbedii. Claudio cadde. Nello sbalzo si ferì alla gamba sinistra, ma si rialzò: intorno agli occhi aveva due cerchi di fuoco che lo facevano assomigliare al traghettatore dell’Inferno. Scappammo, non avevamo nessuna intenzione di salire sulla sua barca. Quando ci fu troppo vicino, mi afferrò per i capelli e Ada lo tirò fuori: era un coltello dalla lama affilata, lo aveva rubato alla festa. Individuò repentinamente la gamba ferita e vi piantò il coltello con tutta la sua forza. Lui svenne, immagino per il dolore.
Gli agenti di polizia, giunti sul luogo, ci fecero delle strane domande: erano tutti uomini. Claudio era figlio di un medico famoso e poteva permettersi illustri avvocati, noi non appartenevamo a quel ramo alto della borghesia. All’epoca non c’erano i social, ma il mio vestito fu fotografato e uscì su tutti i giornali, molti insinuarono che lo avessi messo di proposito per essere seducente, e perché no: anche per vendicarmi del mio ex ragazzo, che mi aveva fatto soffrire. Ada dovette scontare 8 mesi di prigione: non furono rintracciati segni consistenti di violenza su nessuna delle due, Claudio non era riuscito a prenderci, e dunque non c’era spazio per sostenere la legittima difesa. Entrambe oggi abbiamo cambiato città, qui è così piccolo, intimo, ci conosciamo tutti… Giulia è arrivata come il succo di un limone su una ferita non ancora rimarginata.”
Il canalone è in silenzio: vorrebbe dire qualcosa, ma le parole non affiorano. Milioni di immagini lo tormentano: le buste nere, la gelosia, il coltello, la macchina, il vestito ridotto a brandelli. È contrito: sa di essere un uomo e in quanto tale di avere il dovere di condividere una responsabilità collettiva, non ha senso parlare di attribuzioni individuali in tragedie antiche come questa. Si guarda intorno e chiama tutte le creature maschili che conosce.
Chiama il sasso, l’arbusto, il terriccio, i detriti, il cartello e il fittone. Chiama lo strapiombo, il sentiero e i cavi della luce. Chiama il tronco, il ponte, il fossato e il corso d’acqua. Arrivano tutti a passo svelto : il timbro della voce del canalone non lascia dubbi, è importante. “Amici, noi siamo tutti uomini, siamo nati da una donna, ci ha generati. Loro non hanno bisogno di noi: sono belle, guardatele, hanno occhi lucenti e desideri grandi, chi mai potrebbe fermarle? NOI, proprio noi. Maledetti noi. Aiutiamole a cambiare le cose. Se non resteranno da sole a combattere ce la faranno. Non sarà più una lotta di genere, diventerà universale.
Sasso, arrotondati se lui ti afferra per colpirla; Arbusto: moltiplicati e diventa impenetrabile così la nasconderai. Cartello, cambia le tue indicazioni se si è perso e sta cercando un posto dove farle del male; Strapiombo, riempiti e diventa pianura se gli serve un luogo dove farla scomparire per sempre. Ponte, crolla se la sta inseguendo e voi, corsi d’acqua, scorrete impetuosi in modo da trascinarlo via. E infine, cavi della luce, illuminate a giorno la notte; rendete tutto visibile perché il buio sa nutrire ancor di più i cattivi propositi. Accecate chi ha l’anima ricolma di odio e svuotatela totalmente, prima di poterla illuminare di nuovo!”
I militanti annuiscono, sono pronti a schierarsi. Alle donne si riempiono gli occhi di lacrime tranne ad Ada, rediviva amazzone. Clara soffoca una domanda e il canalone se ne accorge; le fa cenno di non aver paura, di parlare: non corre più alcun pericolo.
“E gli uomini, quelli con le mani e con le gambe?” esclama allora la ragazza.
“Non sono ancora pronti”, risponde amaro lui.
a Giulia, a tutte le donne, a tutti gli uomini che sono già canalone
8 risposte su “e gli Uomini?”
Toccante racconto che a tratti ti fa cacciare un sorriso e a tratti ti fa venire i brividi per la paura…
Molto bello…l’idea del
canalone che parla, spiega e racconta è geniale!
Complimenti!!!
Ne abbiamo parlato tante volte… alla fine è arrivato. Sono felice che non ti abbia delusa ❤️
Ancora una volta un racconto molto bello. Si legge d’un fiato, per poi rileggerlo con più calma ed apprezzarlo fino in fondo.
Come sempre hai l’invidiabile capacità di definire perfettamente i personaggi con pochi rapidi dettagli, ad esempio il personaggio di Claudio è perfettamente inquadrato da tre dettagli: l’auto “ dal motore truccato, con cui era solito correre accelerando nelle curve”, gli “occhi indemoniati” ed il suo essere “figlio di un medico famoso”.
Grazie a questa capacità di “schizzare”, nonostante la brevità il racconto è ricco di spunti nelle sue diverse sfaccettature.
La storia dei due ragazzi, raccontata dal “canalone”, ci mostra quanto la parola “amore” possa avere per lui e per lei un significato profondamente diverso. Così lui “dopo aver goduto” (una pennellata!) ha bisogno di mortificare la ragazza per non sentirsi inferiore. Se solo lei capisse quanto poco vale il suo giudice!
La storia di Carla è perfetta. Il suo sviluppo mostra tutti i meccanismi di un copione tristemente abituale, che troppo spesso termina in tragedia. Stavolta però il femminicidio non avviene, grazie alla ribellione di Ada. Ma siamo davvero pronti al cambio di copione? Ada paga cara la sua ribellione, non le viene perdonato di aver deviato la vicenda dai binari consueti.
Carla ed Ada sono tenerezza e forza, due bellissimi personaggi che racconti con la tua consueta passione. La luce che emanano risalta ancor di più nel buio della stupida violenza di Claudio, esercitata come diritto di “essere superiore” in quanto “maschio” e di condizione sociale più elevata. Effimera baldanza che lascia subito il posto alla disperazione quando Carla fugge, al punto da minacciare, sincero quanto velleitario, un suicidio che ovviamente non avrebbe mai il coraggio di concretizzare. Ma questa minaccia basta a far tornare Carla sui suoi passi, ancora una volta in lei c’è amore, per quanto ormai solo compassionevole. In lui no. In lui c’è solo brama di possesso. Claudio non può amare. Non può amare una donna, un libro, un tramonto o altro, perché Claudio è il nulla, è un vuoto, è l’illusione che il possesso di un’auto da lanciare in corsa o una donna da sottomettere possano riempire una esistenza vuota.
Mi accorgo di aver speso tante parole solo per dire in modo più complicato ciò che tu hai semplicemente raccontato benissimo.
Caro Paolo,
Hai usato tante parole, ed è vero, ma dimentichi che io amo leggere, in special modo i tuoi commenti, sempre pieni di attenzione e di cura. Troppi
Claudio ancora,
purtroppo,sono intenti a
rovinare giorno dopo giorno la
vita delle donne, ma NOI tutte
abbiamo una fiduciosa
certezza: che gli uomini-
canalone siano pronti a
ribellarsi insieme alla
natura… insieme a noi.
Un abbraccio.
Grazie ❤️
Le faccio i complimenti, ci ha trasportati sulla scena di una favola, lontano dalla cronaca dei tg, eppure esplode un petardo potente, arriva allo stomaco, vuole e riesce a disturbare, a provocare quel fastidio necessario per indagare se abbiamo la forza di generare qualcosa di bello (come le perle, che si generano nell’ostrica solo dopo l’irritazione di un corpo estraneo urticante). Poi ci lascia lì, sul ciglio di un finale con un punto interrogativo severo, prova a oscurare il bagliore in fondo all’orizzonte, ma dipende tutto dalla luce negli occhi di chi guarda. Grazie
Grazie a lei, Vincenzo, per questo commento bellissimo. Il finale è volutamente aperto, nella speranza che tutti gli uomini diventino prima o poi canalone. Non la conosco, ma mi piace pensare che lei lo sia… al quadrato. Un abbraccio
Le descrizioni sono fotografie realizzate con poche parole eppure perfettamente definite. E poi quel tuo stile …. Sembra catturare i personaggi dopo un inseguimento, mettendone in luce l’anima, mentre la storia scivola quasi in sordina, incisa nella mente.
Meravigliosa.
Grazie!!! Un commento che mi ha particolarmente emozionata. Quando scrivo in effetti anche a me pare sempre di star inseguendo qualcosa. Devo ancora scoprire precisamente cosa sia, ma è bello sapere che non sono la sola a correre. Grazie❤️