Caterina ha 96 anni, gli occhi velati dall’ombra dell’età. Cammina davanti a Vera nella via che congiunge in un triangolo fortuito la sua casa, il negozio di alimentari dove si rifornisce e il luogo di lavoro della ragazza. Caterina esce per prima dal negozio; ha una busta della spesa non troppo grande che ne sbilancia però la figura e Vera la osserva: sembra la vela di una barca che un vento leggero non riesce a gonfiare. Avverte allora un istinto irrefrenabile e si stacca dalla comitiva con cui è in pausa pranzo. Si avvicina delicatamente a quella signora che potrebbe essere sua nonna e infila la mano nella busta per caricarsene il peso. Poi le sorride nel modo più rassicurante che conosce, quello che si regala ai bambini quando credono di aver visto un mostro attraversare il buio.
“Chi è lei? Non la conosco. No, non voglio essere accompagnata! Cioè, vorrei… ma IO non l’ho mai vista prima! Mio figlio dice che è pericoloso farsi accostare dagli sconosciuti!”.
Fabrizio allora interviene. Ha osservato la scena e non può fare a meno di pensare al suo papà: ha la stessa età di Caterina e la stessa fermezza nel voler continuare a vivere invece di sopravvivere: “È il segreto per non invecchiare mai completamente”, gli sente ripetere sempre. Si affianca alle due donne e aggiunge un altro sorriso a quello di Vera. È puro, come il suo, e Caterina accetta le referenze offertele dall’uomo in quella breve porzione di strada. Ha un ardente bisogno di credere alle favole, come tutti del resto; chi dice di non averlo MENTE.
Vera ottiene il carico e le due iniziano a camminare a braccetto. Fabrizio le scorterebbe sulla Luna in sella a un ippogrifo, ma il suo intervallo è finito e il dovere lo chiama. Con uno sguardo pieno di incanto, si sofferma su quel ramo della specie umana che fa ancora nutrire speranze sul futuro dell’albero globale; lui stesso vi appartiene, ma senza esserne spocchiosamente consapevole. Le saluta mentre si allontanano chiacchierando; annuisce con dolcezza perché sa che gli anziani hanno voglia di parlare ma nessuno li ascolta più volentieri. Sa che il dio del tempo divora i buoni propositi, inghiottendoli non appena le parole, nel tentativo di far capolino, si infrangono contro il muro della memoria. Quella degli anziani è seduta su un’altalena ma nessuno trova il tempo e la voglia di spingerla e quindi i ricordi spesso si fermano, come talvolta fa il vento, ingoiati dalla fretta.
Caterina stamani ha preso posto sull’altalena insieme alla sua memoria e sono entrambe immobili, ma Vera ha braccia forti e desiderose di spingere. Le si pone alle spalle e le dà il primo colpo, leggero, affinché la sua nonna adottata non si faccia male. Ascolta il racconto della donna: è appena caduta; era da sola in casa, impegnata nel disbrigo delle piccole faccende quotidiane che ancora si ostina ad assolvere. L’impatto le ha lasciato un po’ di dolori localizzati qua e là e il figlio le ha raccomandato di affidarsi al garzone per la spesa, ma lei vuole sentire il sole sulla pelle; vedere se le gambe rispondono ancora agli stimoli del cervello; dimostrare che si muore solo quando ci si sente inutili. E allora il desiderio è diventato azione: ha disubbidito ed è uscita da sola.
La sua abitazione non è lontana dal negozio di alimentari, ma gli arti malfermi hanno il potere magico di moltiplicare le distanze e lei invece di rallentare accelera il passo, nel timore che Vera ritardi il suo ritorno a lavoro. Nel momento esatto in cui sta ricevendo una buona azione, Caterina dunque si preoccupa già di restituirla, elevandola al quadrato.
Ci sono dei sottopassi per tornare all’appartamento: il parco è troppo grande e per raggiungere l’ultimo isolato bisogna compiere larghi giri per evitare le scale. Caterina indossa diverse maglie per ripararsi dall’Antartide che spesso investe gli anziani e la ragazza ne avverte il sudore quando le pone un braccio sulla schiena per accarezzarla. Si ama anche con un gesto così, anzi si ama di più con un gesto così che con mille altri ostentati.
Il palazzo non ha ascensore e la donna abita al terzo piano. Vera impallidisce: la scala è ripida, come avrebbe fatto se non avesse incontrato lei? Un pensiero fugace la rimanda a suo padre, al pronto soccorso di qualche mese prima in solitaria: “Figlie mie, voi avete tante cose da fare, che volete che sia una piccola botta alla testa? Non mi hanno neanche messo i punti, tranquille!”.
Caterina si attacca al corrimano; ha le braccia libere adesso, ma nella risalita sopraggiunge uno strano fiatone che a Vera non piace. Allora la ragazza si siede sulle scale per fermare il passo. “Che fai lì per terra? Le scale sono sporche, alzati! Fai tardi al lavoro per colpa mia, dobbiamo salire, ce la faccio, oggi è la mia giornata fortunata, sei arrivata tu, sono stata una stupida, aveva ragione mio figlio: non avrei mai dovuto uscire da sola. Però… guarda che bello il sole!”. I suoi occhi si accendono di gioia. Vera non si alza, la guarda affascinata: è davanti a una donna minuscola, ma la sua immagine riflessa sulla parete è gigante. Con il finto pretesto di esser stanca, resta seduta e attende che il respiro della sua nuova amica torni regolare.
Arrivate in cima, Caterina apre la porta e invita Vera ad entrare, scusandosi del disordine. Vengono così entrambe investite da una luce intensa e da un odore che mescola l’aroma del mare a quello più pungente delle case degli anziani. Sono le case in cui la vita abbandona ad una ad una le stanze per rifugiarsi in un unico ambiente: esso diventa cucina, salotto e insieme camera da letto e il suo ospite fisso è la televisione ad alto volume. Gli anziani hanno case e cuori grandi, ma spesso qualcuno glieli svuota entrambi, insegnando loro l’aridità e la diffidenza.
Vera resta sulla soglia per educazione e rifiuta il bicchiere d’acqua che le viene offerto, non vuole varcare la soglia, non vuole invadere. Si commuove dinanzi a quell’uscio spalancato, il simbolo della facilità con cui si possono ingannare gli anziani: non c’è bisogno di chiavi, di codici o di combinazioni segrete, basta un atto di gentilezza, raro e dimenticato. Riflette. Quanti figli tremano al solo pensiero che i genitori escano da soli a far la spesa e possano cadere? Quanti soffrono d’insonnia perché non hanno avuto altra scelta che quella di portarli in una casa di riposo? Quanti si inventano qualcosa di nuovo ogni giorno per vederli felici ancora una volta, sperando di separarsene il più tardi di mai?
Si affaccia dal ballatoio: in cortile ci sono due altalene. Su una compaiono, come per magia, Caterina e tutti gli anziani del mondo. Si divertono, volano alti. Non c’è nessuno che li spinge, tranne il loro desiderio di salire più su, quasi in cielo. Sull’altra ci sono loro: le persone che ogni giorno li trascurano, li ingannano, li spiano per portargli via un pezzetto di passato, un pezzetto di presente, un pezzetto di futuro. Questa seconda altalena va velocissima, talmente veloce che le assi non reggono e allora ne vengono sbalzati via, lontano. La spinta è violenta e ogni volta che qualcuno di loro è in procinto di atterrare, il suolo li respinge: “Sei feccia, non ti vogliamo qui, prova a trovare altro asilo per la tua cattiveria!”, fino a quando una scossa potentissima squarcia la crosta terrestre. Queste persone si conficcano a testa in giù nel punto più basso scavato dalla deflagrazione e vanno ad affiancare Lucifero, l’angelo divenuto demone.
“Allora che fai, non entri? Sicura di sentirti bene? Hai cambiato espressione. Sì, lo so… quel cortile non piace neanche a me e le altalene andrebbero riparate, sono anni ormai che non ci sale più nessuno!”.
“Ti spiace se domani ritorno qui con Fabrizio? È molto bravo con gli attrezzi, ci penserà lui, vedrai. Però… ne aggiusteremo solo una. L’altra serve così: malmessa, non chiedermi perché!”.
“Va bene, come vuoi, ma tu non dirai mai a mio figlio che sono scesa da sola a far la spesa, vero? Promettimelo. Saremo unite per sempre da un duplice segreto!”.
La ragazza scende le scale tracciando il segno del giuramento sulle labbra. Mentre si allontana sente il cuore esploderle di tenerezza: Caterina non le ha mai detto il nome di suo figlio.
8 risposte su “Caterina sull’altalena”
A volte la bellezza si trova nelle piccole cose. Così questo racconto non trae emozioni forti da fatti di cronaca o da sofferte storie personali, ma ci regala le emozioni delicate di una storia piccola, “quotidiana” e per questo bellissima. La si potrebbe definire “Una piccola storia Nobile”, parafrasando per inversione il titolo di una bella canzone di altri tempi.
Un sorriso è il lieve filo lungo il quale si susseguono le “perle” che compongono il racconto. Sorriso, che immaginiamo a poco a poco contagiato dalla ragazza all’anziana lungo il cammino, che rimanere fra le due fino al saluto, rabbuiato solo per poco: il tempo di lanciare indignati strali di condanna verso coloro che agli anziani fanno del male. Ecco l‘anima severa della protagonista: guai a farla arrabbiare!!!
Guai… già sai 😜❤️
Grazie !
Un racconto delicatissimo e a tratti dal sapore amaro…il tempo e gli impegni frenetici della quotidianita’ ci distraggono dall’ascoltare e passare semplicemente qualche ora ad ascoltare gli anziani, le persone più fragili, custodi di tanta saggezza, a cui si può donare la felicità con una semplice carezza….
E carezze siano… tante ❤️
Leggo ed immagino il tutto nei minimi particolari….grazie Manu!
In ogni frase rivivo la gioia che provo ogni volta che tento di fare del bene a qualcuno….
Se ognuno di noi riuscisse a provare questa emozione, sono sicura che il mondo sarebbe migliore.
Grazie Manu perché ogni volta mi regali una nuova emozione.
Simona
Grazie a te, che da sempre riempi il mondo di bellezza coi fatti e non solo con le parole❤️
Quanta sostanza a volte c’è nella forma, la Creanza di Vera (nomen omen) di restare sull’ uscio della porta e quella sensibilità di apprezzare l “odore delle case dei vecchi” di sorrentiniana memoria, condensano tutto ciò (tantissimo) che mi ha fatto venire in mente questo bel racconto.
Quanto è bello questo commento e quanta empatia contiene. La sostanza che c’è nella forma: una perla rara! Grazie di cuore.