Sono appena rinato, ho 6 anni e sono poco più alto di una sedia bassa. Non so perché sia stato rispedito qui, devo essermi comportato male nella mia vita precedente se mi hanno obbligato a “riesistere”. Mi sono svegliato di soprassalto e, a piedi nudi, ho attraversato un lungo corridoio che mi ha portato in cucina: c’è una luce fortissima e fastidiosa al neon, che rende artificiale ogni cosa; chissà chi c’è in casa e perché la tiene accesa durante la notte. Deve essere una persona che ha paura del buio più di me che sono un bambino. Vado fuori ed esploro il balcone: è grande, spazioso e affaccia nel verde; com’è alto da qui… o sono io che sono troppo piccolo? Non sono abituato ad essere così; durante i miei ultimi giorni avevo un corpo molto più lungo e ora mi devo adattare, faccio fatica a reggere l’equilibrio e sono appena inciampato in un attrezzo abbandonato in un angolo. Un piccolo rigolo di sangue mi scorre per il ginocchio, ma non piango mica! Sono stato anche grande, mi fa strano tornare a essere un moccioso.
La ragazza che arriva è preoccupata, o almeno così sembra dalla velocità con cui è piombata qui; invece no, è solo arrabbiata e mi disinfetta senza neanche una carezza. Sento il suo livore scendere su di me, deve essere nervosa per qualcosa. Speriamo non sia la mia nuova mamma, ma solo una persona di passaggio, così non sarò costretto a vederla tutti i giorni. Il ginocchio ha smesso di sanguinare e rientro in cucina. È sorto il sole e finalmente vedo le cose con i loro veri colori. C’è in bella vista un mazzo di tulipani di legno, rossi come la cucina: sorridono, ma sembrano abbandonati. Chi ha detto che solo ai fiori veri occorre l’acqua?
Il mio nome è Francesco, un nome lungo lungo, di quelli importanti, che sa di signori anziani vestiti di bianco con le braccia aperte, di lupi ammansiti e di astri lucenti divenuti fratelli. Non c’è nessun altro in casa, e dunque credo che la mia paura sia già realtà: questa ragazza con i capelli biondi, dalla voce stridula e dai modi bruschi è mia madre. Chissà quanti anni ha; non ricorda neanche lontanamente la mia precedente: bruna, le fossette alle guance e gli occhi che sorridevano. Perché siamo soli? Ah, ecco, la porta. È un signore altissimo, sembra me negli ultimi ricordi, ma ha lo sguardo infastidito; viene verso di noi e mi accarezza i capelli, per poi lanciare un’occhiata di sufficienza a sua moglie, quasi a dirle: “Come vorrei che scomparissi!”. Speriamo non vada subito via, non mi sento al sicuro con lei. È agitata e parla del pranzo; dice che papà (sarà mio padre?) non le dà mai una mano in casa e che pensa solo a svignarsela… non ricordo bene cosa significhi questo termine; ero un uomo colto, questo lo so, ma devono avermi cancellato parte della memoria. Lei sta alzando la voce e io, di riflesso, vado a nascondermi sotto al letto. Sento sprazzi di conversazione. Lui l’ammonisce: l’ultima volta che hanno perso le staffe io ero con loro; ho iniziato a tossire in seguito alle urla, come se le sentissi scendere lungo la gola, e poi ho balbettato per due mesi, forse tre; ho faticato a lungo per ricominciare a parlare in maniera fluente. Lei si zittisce.
Oggi è già domani e sto svolgendo i compiti. Non riesco a scrivere bene le p in corsivo, e neanche il numero 7. Sono distratto e penso alle parole che cominciano con la p: me ne vengono in mente alcune, ma nessuna mi fa sorridere, tranne l’ultima. PRESTO. “Fai presto, hai capito che ti devi muovere, sembri un cretino!”. PAURA. La paura che sento appena sbaglio.
PANICO. La sensazione che provo quando alza la mano per sgridarmi. PRESUNZIONE. Magari crede di essere una buona madre.
PORTA. Il desiderio di sgattaiolare fuori insieme a quell’uomo che sembra buono, e correre via di qua.
PAZIENZA. Quella che ha la mia maestra, una signora dalle mani rugose ma delicate, i capelli corti sempre in ordine e profumati, lo sguardo triste e insieme profondamente dolce.
Lei mi fa alzare quando voglio, dice che i bimbi sono tele bianche, e se le colori con le tinte giuste prendono la forma di un’opera d’arte. Ieri ho riempito con lei una paginetta di numeri 7 perfetti, tutti morbidi nonostante le linee rigide, ed ero felice perché mamma mi controlla sempre i quaderni una volta a casa, e si irrita se trova qualcosa che non va. Oggi sarà felice dunque, c’è un BRAVISSIMO in bella mostra. Invece no; lo guarda con noncuranza e mi ordina di riempire un’altra pagina di 7. Ha lo sguardo severo e un tono cattivo: dice che sono seduto male. Mi mette dritto e a me fa male il piede, deve avermelo torto per assecondare la sua concezione di posizione perfetta. La maestra invece, quando mi vede stanco, mi lascia sedere come voglio, e dice che io sono iperfren… ipercon… ah, ipercinetico, ecco cosa dice alla sua collega dai capelli rossi. Se la guardo impensierito mi sorride: “Francy, perché fai quella faccia lì? Mica è una parolaccia! Guarda che gli esseri umani sono tutti diversi, e meno male! Ognuno impara alla propria maniera: le intelligenze sono multiple e tu hai la più esuberante di tutte! Quella dei bambini che imparano in movimento; quella di chi non conosce stasi; quella di chi ha bisogno di muoversi continuamente ma che non dà fastidio agli altri; quella che nelle passeggiate su e giù per la classe fonda la conoscenza! Ripetimi la filastrocca che avevo assegnato, dai! Certo che puoi camminare mentre la reciti: la memoria è tua, la conosci meglio di qualunque altro, solo tu sai il modo in cui può rendere al massimo!”.
Termino la poesia di Gianni Rodari e i miei compagni mi applaudono. Col pensiero divento un front-man che ha appena conquistato il palco, ma questa sensazione dura pochissimo; quasi nello stesso momento mi arriva infatti un ceffone perché sono distratto, e torno subito alla realtà! Ero per un attimo quel cantante con la faccia strana che c’era ieri in TV… Damiano mi pare si chiami, faceva ballare tutti, ma forse a mamma non piace. Dice che sono lento, TROPPO lento, che sono assente, TROPPO assente; che sono incapace o forse deficiente, e che vorrebbe capire perché a scuola scrivo bene le p, e i miei 7 non sembrano le gambe storte della signora del piano di sotto.
Non ha le gambe storte la signora del piano di sotto! Profuma di buono, come la mia maestra, e in ascensore mi chiede sempre qual è la cosa più bella che mi sia successa fino a quel momento. Dice che gli eventi piacevoli tendono a essere dimenticati più velocemente di quelli spiacevoli e che quindi dobbiamo esercitarci a ricordarli. Una volta siamo rimasti chiusi insieme in ascensore e mi sono spaventato tantissimo perché mamma mi raccomanda sempre di salire a piedi se non sono con lei, e allora ho iniziato a piangere: le avevo disubbidito. La signora si è seduta per terra e mi ha chiesto di imitarla; avevo bisogno di muovermi e respiravo a stento, ma spazio non ce n’era e allora si è stesa con le gambe all’aria e ha iniziato a far finta di andare in bicicletta, ha detto proprio così : “Andiamo in bicicletta, Francy!”. Dopo due minuti ero steso anche io di fianco a lei; ero su due ruote e non la smettevo più di ridere, tanto che quando l’ascensore è ripartito avevo dimenticato che si fosse fermato e non volevo più scendere. Lei ha colto nei miei occhi qualcosa e sulla soglia mi ha detto: “Vai, amore, non sarà mica la casa delle streghe?”. Io sono rimasto muto.
Mamma oggi pomeriggio ha meno pazienza del solito. Sto sbagliando le m in corsivo e vado via col pensiero. Parole con la m. MAMMA. La mia vorrei che fosse la signora con le finte gambe storte. MAESTRA. Anche lei gradirei che fosse la mia mamma.
MUSICA. Mi rasserena quando arriva papà a casa e, dopo aver posato le chiavi sulla mensola, chiede ad una voce metallica di lanciare nell’aria le note di un certo Jaz, o Gezz, o Jaze, non so come si scrive, in fondo ho pur sempre 6 anni, anche se è la mia seconda vita. MISTERO. Quello di non sapere perché ci sono ragazze come questa qua che non ci vogliono bene. A noi figli, intendo. Non posso essere l’unico bambino che non viene baciato mai, anche se a volte mi viene il dubbio che sia così perchè lo vedo fare a tutte le mamme dei miei compagni quando oltrepassano il cancello di scuola. Tranne alla mia.
Ecco, lo sapevo. Ho avuto un ceffone, l’ho fatto ancora. Mi sono mosso, sono cretino davvero, allora! Sono nato buffone! Mamma però ha un anello e mi ha colpito la tempia, ho paura, vedo tutto rosso. Le faccio bene le m, te lo prometto, scusami. Non mi muovo più.
Oggi la signora dalle finte gambe storte non mi sgancia gli occhi di dosso. Mi lancia la solita domanda e non rispondo, vorrei piuttosto dirle che ha ragione a sostenere che le cose spiacevoli si ricordano più facilmente di quelle piacevoli. Mi chiede se può venire da noi perché ha dimenticato di comprare lo zucchero, ma mamma le sbatte la porta quasi sul muso.
Sono due giorni che papà non torna e io ho ricominciato a balbettare. Mi tremano le mani, e i numeri e le lettere mi sono ostili, ma provo in tutti i modi a comporli bene, senza successo. Le urla arrivano in cielo e qualcuno bussa d’improvviso alla porta. E’ sera e mamma non vuole aprire, così resto immobile ad aspettare che la smettano, ma insistono: devono dare per scontato che ci sia qualcuno in casa. Alla fine è costretta ad aprire: sull’uscio appaiono due signori vestiti nello stesso modo, hanno una faccia che ho già visto sul mio libro di fiabe e sono in piedi accanto alla signora dalle finte gambe storte. Non so perché, ma d’istinto le corro in braccio e le chiedo di portarmi in bicicletta, finta o vera che sia. Ho il segno del tridente di una forchetta impresso sulla mano, ma non sento più dolore; ho sbagliato di fila le m, le p e i 7 stasera, me lo meritavo.
Mamma non urla più, non so cosa le stiano dicendo quei due omoni. La signora dalle finte gambe storte mi tranquillizza: non devo preoccuparmi, mi ha comprato una bicicletta vera e posso provarla in cortile sul retro, se mi va. Oggi, domani, e anche domani l’altro. Allora la seguo. Ho il pigiamino di Peppa Pig e ci sono disegnate due mamme. Hanno il viso sereno e sembrano felici di accudire il loro piccolo che svolge i compiti. Lui ha una gamba penzoloni e questa immagine mi comunica movimento, ma non c’è nessuno che lo rimprovera: beato lui!
Forse da domani divento fortunato anche io, divento intelligente anche io, ricevo baci anche io. Forsemisonovenutiasalvare! Sorrido: l’ho detto tutto d’un fiato ad alta voce, senza balbettare.
A tutti i bambini. Che posto meraviglioso sarebbe la Terra se a comandare fossero loro.