Ho sempre creduto alle stelle cadenti, forse perché mi è stato raccontato che nella notte del 10 agosto i miei genitori erano in spiaggia a cercarne una e, senza dirselo, avevano espresso entrambi lo stesso desiderio: che nascessi io.
Erano sposati già da diversi anni, ma un figlio non arrivava mai, così la mamma iniziò a mangiare sempre di meno, a parlare sempre di meno, a ridere sempre di meno… e i bimbi, si sa, per nascere hanno bisogno di calorie, di parole e di risate. Così pare che il papà abbia fittato quella palafitta sull’acqua, all’esterno della quale si erano dati il primo bacio. A quel tempo erano solo dei ragazzini, e di soldi per trascorrere la notte in quel luogo magico non ce n’erano abbastanza, così aveva rimediato. Aveva regalato alla mamma un vestito del colore del sole – nella foto mi acceca quando la guardo- e l’aveva presa in braccio per non farle bagnare i piedi: “Dobbiamo immergerci insieme dopo aver avvistato la più luminosa delle stelle!”, le disse.
Nella palafitta c’era una musica di violini e candele sparse in ogni angolo, sembrava che la stesse corteggiando di nuovo, e la mamma era finalmente tornata a sorridere, forse ero già io che le stavo tirando gli angoli della bocca, proprio come dice lei. Non sono mai entrati nel dettaglio di quello che successe dopo, ma deve essere stata una bellissima serata – chissà quante se ne contano così nella vita delle persone – e dopo nove mesi sono nata io, mi chiamo Stella. Come avrebbe potuto essere diversamente?
Ho i capelli dello stesso colore del vestito della mamma di quella sera, e gli occhi azzurri che tutti dicono riflettere il cielo da cui sono piombata giù.
Rido sempre perché da quella sera anche la mamma non ha più smesso di farlo e io la sentivo… i dottori che guardano nelle pance delle donne incinte non possono saperlo, ma noi sentiamo tutto quello che avviene lassù. Qualcuno dovrebbe dirglielo, così potrebbero mettere in guardia le mamme quando ci aspettano: “Mi raccomando, niente litigi, niente lacrime, niente parole ostili, altrimenti i bambini nascono arrabbiati con il mondo, e il mondo sta già messo parecchio male di suo!”.
Il mio sport preferito è la palla a volo e gioco nella squadra di scuola: non sono molto brava, sono bassina e arrivo a stento a muro, ma guardo tutte le partite della nazionale. Ho sognato più volte la mia giocatrice preferita, Paola Egonu; la scena è sempre la stessa: si abbassa e mi regala dei centimetri, in modo che quando la incontrerò dal vivo non avrò bisogno di uno scaletto per abbracciarla.
Ieri era la notte di San Lorenzo e sono andata con i miei amici a rinverdire la tradizione di famiglia: cercare le stelle. Sono grande ormai per stare attaccata ai miei genitori e poi il loro desiderio è già stato esaudito, ora tocca a me!
Sergio è poco distante e mi guarda a stento, non ha occhi che per Cristina e farei bene a concentrarmi sul fatto che ho sbagliato persona; quanto tempo se ne può inseguire una che non vuole essere catturata? Non sono mica Willy il coyote e anche se lo fossi, Beep Beep è sempre stato più veloce di lui.
Ora che ci penso, potrei chiedere alla stella cadente di fare come Cupido e di scoccare una freccia a Sergio e una a me, invece che a lui e a Cristina, ma mi ricredo: perché dovrei costringere una persona ad amarmi se non vuole? Che ragazzino becero e capriccioso doveva essere il figlio di Venere! Mica avere per madre la donna più bella della Terra ti assegna il diritto di decidere chi deve amarsi e chi no!
Mentre mi convinco che non sia il desiderio giusto, avvisto una scia luminosa, sarà lei, sono ore che la aspetto… eccola… allora… ti prego, ti prego, fa’ che la nazionale italiana domani vinca le Olimpiadi e che Paola segni la maggioranza dei punti, così la smetteranno di chiederle se è italiana. Si sa che chi vince non viene mai contestato. La ameranno tutti come la amo io!
Riapro gli occhi e vedo Sergio che si allontana con Cristina: la mia mente scatta una foto della scena, è disgustosa. Lui è a torso nudo – quando ha levato la maglietta?!?- e ha i capelli leggermente bagnati dalla brezza marina; lei indossa un bikini color bronzo e ha una mano appoggiata sul suo petto, come a dire: “Guardate tutti, è mio!”. Mi infastidisce quell’aria da ragazza viziata, ha lo sguardo di una che non ha mai dovuto lottare per conquistare qualcosa, tanto meno ora.
Sergio mi scorge e incrocia il mio sguardo deluso, non ho fatto in tempo a mascherarlo; ritorna indietro di qualche passo a recuperare il suo telo da mare e con quel pretesto mi accarezza la testa: “Stella, non è ora che rincasi? È tardi. Quando compirai diciotto anni, ti prometto che verrò a rapirti in sella a un cavallo bianco!”. Mi lancia uno sguardo malizioso e io vorrei urlargli: “Cretino, ne ho tredici ormai e certo non posso sapere dove sarò tra cinque anni! In compenso so benissimo dove sono ora, tu lo sai altrettanto bene?!”. Invece le parole non risalgono e uno smile deficiente si affaccia sul mio viso: lo sento, insieme al rossore, e penso che Madre Natura avrebbe dovuto regalarmi un altro colore della pelle, così non si vedrebbe. Una persona di cioccolato come Paola, così vorrei essere!
Sergio e Cristina si allontanano, ma io sono arrabbiata più con me stessa che con loro, e per distrarmi lancio lo sguardo all’orologio: cavolo, mancano solo dieci ore al match finale!
A mare oggi non vado: il telefono in spiaggia prende malissimo e Dario il bagnino non si decide a montare il maxi schermo se non in occasione delle partite della sua squadra del cuore… di calcio ovviamente. Spazio per altri sport non ce n’è, maledizione!
Resto a casa sdraiata sul divano e salto ad ogni punto della nazionale italiana: Paola è in formissima e papà mi ha promesso che appena la squadra torna in Italia mi porterà da lei; non ho chiesto nessun regalo per la promozione, anche se sono stata diligente quest’anno e ho preso parte al Parlamentino di scuola, un posto affascinante dove sorgono sogni piccoli piccoli con la speranza di vederli diventare grandi grandi ed arrivare tra gli scanni dei politici veri. Alle sedute abbiamo parlato di tutto: di come la prof ha messo a tacere quei due ragazzini che miravano alle merende dei più piccoli con una fionda artigianale; di quei soldi che sono stati rubati a Nielsen dalla cover del telefonino solo perché viene dal Perù; e dei disegni di Romeo e Giulietta: Ramsa ha disegnato Giulietta con i tratti orientali ed è stata dileggiata. La prof allora ha detto che noi possiamo disegnare i protagonisti dei romanzi, delle fiabe, dei cartoni animati e dei film come meglio crediamo, perché la fantasia degli altri non deve essere uguale alla nostra, altrimenti che fantasia è?
Mi sto distraendo e forse siamo al match point: non permetteremo agli Stati Uniti di colonizzare anche la palla a volo, lo fanno già con mezzo mondo, nello sport devono gettare la spugna! Ecco, Paola ha schiacciato, le americane ricevono ma non al meglio, ricreano l’azione, mirano al punto ma… Sììììììììììì!!!! La palla è fuoriiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii!!!! Velasco è in campo, tutto il team è in campo! C’è chi salta, chi piange, chi esulta, e Paola è lì, stretta in quell’abbraccio bellissimo alla sua compagna, gli occhi chiusi e carichi di lacrime, i denti bianchissimi, quelle parole appena sussurrate che vorrei sentire…
“Papà, quando torniamo a Roma allora?”.
“Domani, amore, ho un impegno di lavoro, rientreremo qui martedì sera, ma appena le giocatrici tornano in Italia manterrò la promessa, ti ho dato la mia parola, non si transige! Ora va a festeggiare!”.
Colgo la palla al balzo anche se non sono in campo, e esco a far baldoria: qui ad Agropoli non c’è particolare esultanza, certo… hanno giocato in dodici, mica in ventidue… ma mi associo comunque in processione a qualche tifoso che sventola il tricolore; indosso la maglia numero diciotto e tengo in alto ben visibile la mia bandiera: raffigura Paola con le ali, le avrà di certo invisibili, non è possibile che riesca a saltare davvero così in alto!
È già mattina e Laura mi ha appena scritto: suo nonno non sta bene e sta trascorrendo le vacanze a Roma; è quindi la prima a vedere il murales realizzato da Laika in via Allegri sotto la sede del Coni, si trova a due isolati da casa sua. Non vedo l’ora di arrivare in città, voglio ammirarlo da vicino anch’io: dev’essere bellissimo! Mi piace anche la scritta italianità, mi fa pensare ad una nazione dove le persone di cioccolato non sono più ai semafori a vendere fazzolettini o nei campi di pomodori a raccoglierli per pochi spiccioli grondando sudore. Vorrei vederle in sala prof nella mia scuola, al posto di alcune cariatidi senza più passione, oppure nell’ufficio della banca dove lavora papà invece di quella signorina dai capelli con le meches che sta sempre incollata al telefono!
Ci siamo imbattuti in un bel po’ di traffico e si è fatta sera; papà dice che non possiamo tardare ancora di più per andare a vedere il murales, è tardi e lui è stanchissimo, deve riposare, domani ha la convention.
Non è vero che i padri non ci deludono mai, sono solo gli unici uomini che non abbiamo bisogno di perdonare, con loro la parola rancore non esiste.
“Ci andrai domani con Laura, Stella, non essere irragionevole, sono solo poche ore, il murales non ha mica le ali come la tua Paola, da lì non scappa!”.
E invece avevi torto, papà. Il murales è scappato! Sono qui di fronte e non c’è più, quello che sto guardando adesso è un imbratto, uno scempio, un orrore! Ti chiamo immediatamente, sono sola, Laura è dovuta correre in ospedale dal nonno che si è aggravato. Voglio dirti che è colpa tua, che non mi hai portato in tempo a vederlo, che ieri sera avremmo dovuto fare la guardia a Paola, che aveva bisogno di aiuto, che almeno noi…
“Stella, ma ti sei bevuta il cervello? Sarà stato qualche pazzoide, vedrai che lo sistemeranno entro breve, ora devo andare, ricordi quel meeting importante di cui ti avevo parlato? Sta iniziando”.
Papà attacca e la sua ultima frase è: “Sono cose che capitano!”.
E no, papà, non sono cose che possono accadere, non nella nazione in cui voglio vivere io e voglio generare i miei figli dopo aver scorto una stella cadente! Tu mi devi dire frasi come quelle degli illuministi: che il mondo è uno e lo abitiamo tutti, che le nazioni travalicano i confini delle persone e le persone quelle delle nazioni, come ha affermato Laika con la sua didascalia. E se non verranno ad aggiustarlo? E se questo obbrobbio di colore rosa dovesse soggiornare a lungo per strada, senza aver conquistato il diritto di cittadinanza? Nessuno lo vuole, vado a intervistare la gente, sono sicura che piace solo al codardo che l’ha fatto!
Vado casa per casa, nessuno ha visto niente, sono venuti nella notte. Hanno sfruttato il fatto che la giornata si colorasse di cioccolato per estirpare le persone di cioccolato. E quel signore in tv dal sorriso sghembo che idiozie sta dicendo? Che alcune persone non corrispondono ai canoni dell’italianità? E quali sarebbero, i suoi? Uomo dalla testa larga e dallo sguardo cattivo? Mai, mai e poi mai!
Papà stasera è tornato tardi, mamma è rimasta ad Agropoli con Giovanni: è piccolo e ha bisogno di attenzioni. “Tu ormai sei grande, se non ti annoi a star da sola tutto il giorno, ti do il permesso di tornare con papà, ma solo per andare a vedere il murales, non farci l’abitudine!”.
Lo sento e lo raggiungo in cucina mentre mangia gli avanzi della pasta all’insalata che due mani amorevoli ci hanno preparato all’alba.
“Domani è martedì, si riparte ma non prima del tardo pomeriggio.”
“Papà, potresti comprarmi della vernice?”.
È troppo stanco, non ha capito, né mi chiede spiegazioni.
“Stella, è tardissimo, scendo alle sette domani mattina, dove vuoi che trovi un negozio di vernici aperto il 13 agosto a Roma? Dai, andiamo a dormire, che mi attende una giornata impegnativa”.
Non è vero che i padri non ci deludono mai, sono solo gli unici uomini che non abbiamo bisogno di perdonare.
Bene, dovrò cavarmela da sola.
Vado in stanza di Giovanni e rovisto tra le sue cose: nei cassetti c’è una cifra smisurata di pastelli, di tempere e di pennarelli, sta imparando a colorare senza uscire dai bordi, io invece nei bordi proprio non ci voglio stare, non mi sono mai andati a genio, sono come delle prigioni e io voglio evadere. Non diventerò come quegli animaletti ritagliati che si attaccano negli album al posto giusto: se proveranno mai ad assegnarmi una casella, mi solleverò da tutti e quattro i lati con ogni forza, lo giuro!
Mi sono procurata diversi pennarelli color cioccolato, posso procedere. Aspetterò il crepuscolo, così darò meno nell’occhio.
Impugno il primo e comincio dalle gambe, restituisco loro il colore originario, quel cioccolato che le persone con il cuore lavato con la varichina non potranno mai assaporare. Ci pensi se al posto delle lavanderie industriali per gli abiti ci fossero delle lavapensieri? Basterebbe estirpare le idee nefaste dalla mente dei malvagi, infilarle nelle macchine, ripulirle per bene con tanto di ammorbidente, eliminare le scorie residue con la centrifuga e restituirle al mondo immacolate. E immacolate mica vuol dire per forza bianche! Significa pulite, tutto qui: pulite dalla lordura e dalla malvagità.
Sono passata alle braccia, non vedo l’ora di arrivare al volto, voglio disegnare anche il piercing, così sarà ancora più veritiero. Mi sento però tutt’a un tratto afferrare da dietro, e mi arriva un urlo, lacerante: “ MA COME DIAMINE STAI…”.
Mi immobilizzo, ho paura di girarmi, non lascio cadere il pennarello, ma il braccio rimane paralizzato a mezz’aria: “Mi scusi, la prego, mi scusi! Lo faccio per l’Italia: è un paese meraviglioso, non può essere rappresentata da un gesto così gretto; lo faccio per Paola, non si fanno soffrire in questo modo le persone che ci hanno regalato tanto; lo faccio per la gente qui intorno: ho bussato ad ogni porta, nessuno è d’accordo con un tale gestaccio; lo faccio per l’italianità: non ha confini, non ha colori, non ha…
Il signore molla la presa e dice soltanto: “Stella, ma come diamine stai colorando? Io e la mamma ti abbiamo detto milioni di volte che si devono rispettare i contorni, stare dentro i bordi, altrimenti la figura del disegno si perde! Dammi qua!”.
Papà prende di scatto il pennarello cioccolato dalle mie mani e inizia a colorare nei bordi, seguendo il perimetro del disegno di Laika. Sorride e io sono salva, non sono venuti ad arrestarmi, forse stanno inseguendo il tizio che ha rovinato tutto col colore rosa.
Non è vero che i padri non ci deludono mai, però sono più bravi di chiunque altro a colorare restando nei bordi, e se ci insegnano a inseguire la giustizia non è detto che la giustizia smetta di giocare a nascondino, ma noi saremo comunque in grado di scovarla in ogni dove. Sempre.
Vai Paola, sei libera ora.
A chi ha imbrattato il murales per Paola Egonu. Ti dedico il mio racconto, quanto deve essere miserabile la tua vita.