C’era una volta Lamento. Era nato piangendo come la maggior parte dei bambini, ma a differenza degli altri non aveva mai smesso. Fino ai tredici anni aveva usato le lacrime, poi dovevano avergli detto che era troppo grande o troppo maschio per quelle cose e quindi le aveva sostituite dapprima con dei mugugni e dopo con delle parole fastidiose pronunciate ad alta voce. Se qualcuno cercava di essergli amico, confidandogli dei segreti o qualcosa che lo turbava, lui ascoltava in maniera impaziente e distrattamente rispondeva: “Non sai quello che è capitato a me!” gli rubava dunque la parola e cominciava il racconto delle sue giornate presenti e passate, soffermandosi sui soli dettagli spiacevoli. Quando Lamento compariva sul luogo di lavoro nessuno era felice di vederlo perché seminava malumore e godeva nel provocarne, andando spesso a riferire bugie che si diffondevano velocemente; nascondeva nella tasca destra una boccetta contenente dell’olio misterioso: bastava una sola goccia di quel liquido affinché le menzogne scivolassero lontano e raggiungessero un numero incredibile di persone. Le bugie venivano dunque scambiate per verità e Lamento se ne giovava, così non era l’unico a borbottare sempre.
Un giorno nel suo reparto venne assunta una nuova segretaria, si chiamava Buonproposito. “Beh, e tu che ci fai qua?” – così la accolse – “Non ci serve altro personale! E poi che nome è il tuo? Un nome da maschio su un corpo da femmina, figuriamoci che cosa combinerai! E questi capelli disordinati, per giunta rossi? Nessuno ti ha mai detto che portano sfortuna?” e strizzò l’occhio a Invidia, che prontamente subentrò: “Guarda quanti ne hai, poi! Tutte le fortune agli altri: io li sto perdendo ed erano dorati come la luce del sole! Tu che ne hai a migliaia li trascuri portando in giro questo colore che ricorda un lucchetto arrugginito! Noi saremo i tuoi capi di sezione, quindi non perdiamoci in convenevoli. Lui è Lamento, io Invidia. E quelle pagine che vedi accatastate sulla scrivania in fondo alla stanza devono essere fotocopiate fronte-retro in quadrupla copia entro oggi pomeriggio alle 15!”. “Ma…” – balbettò la ragazza – “sono appena arrivata, saranno migliaia di pagine, mi serve un po’ più di tempo!”. “Salterai la pausa pranzo, si chiama gavetta, ci siamo passati tutti!”. Lamento e Invidia se ne andarono sgignazzando e Buonproposito si rimboccò le maniche; era un lavoro meccanico e lei detestava non avere il cervello in funzione, ma intravide – al di sotto delle infinite pile di pagine da fotocopiare di cui era invasa la scrivania – una bellissima tonalità di turchese. “Ottimo” – pensò – “una volta che l’avrò liberata, la luciderò e mi sembrerà di stare seduta accanto al mare anche mentre lavoro.”
Quella sera non riuscì a tornare a casa per cena e raccontò alla madre qualche bugia di troppo per non farla preoccupare. La mattina dopo Buonproposito conobbe Disperazione. Era una donna sottile sottile, tanto che si diceva passasse attraverso le porte. Qualcuno giurava di averla vista comparire all’improvviso nella propria stanza, senza averne avvertito prima i passi o la voce. Disperazione non si era mai più ripresa dalla morte del marito – Saluto – l’unico grande amore della sua vita. Anche lui lavorava in quella ditta e a Buonproposito raccontarono che arrivava sempre in anticipo, salutando tutti più di una volta nel timore di aver dimenticato qualcuno. Pare che tale abitudine gli fosse derivata dai genitori, i quali erano soliti dire: “Il saluto non si nega a nessuno, appartiene agli angeli. Chiameremo nostro figlio così!”. Però Saluto non era stato fortunato e si era ammalato molto giovane, non si sa di che cosa perché tutte le volte che Disperazione provava a raccontarlo, Lamento le rubava la scena ed esclamava: “Sai che anche io sono malato? Ho una malattia autoimmune pericolosissima che mi porta degli scompensi cardiaci importanti, ogni momento potrebbe essere l’ultimo!”. Ormai erano undici anni che raccontava la stessa storia, quest’ultimo momento doveva essere parecchio ritardatario!”.
Anche quella sera Buonproposito tornò a casa troppo tardi per la cena e la mamma le riferì che le sue amiche avevano chiamato a casa allarmate dal fatto che non rispondesse ai messaggi. La ragazza allora prese il cellulare, dimenticato in borsa da più di 24 ore, e scrisse: “Amiche mie, sto bene, non siate in pena per me. L’acqua con cui mi hanno battezzata è inquinata e stanno provando a contaminarmi, ma io resto impermeabile. Porto nelle tasche il nostro amuleto invisibile e di nascosto fischio, come abbiamo imparato a fare insieme tanti anni fa in quella gita sul Monte San Costanzo. Ci torniamo il prima possibile con Frida? Quando rincaso corre verso di me e mi salta addosso leccandomi: immagino che sia il suo modo di chiedermelo, non l’ho mai vista felice come in quel giorno. Ps: attraverso la mia scrivania vedo il fondo dell’oceano. Chi dice che solo le persone hanno il dono di trasmettere il buonumore? Sicuramente è qualcuno che non ha mai visto il mare. Vi voglio bene.”
I giorni si avvicendavano senza scossoni quando, due settimane dopo, Buonproposito assistette a una lite furiosa in mensa: Invidia urlava all’indirizzo di Disfattismo, un uomo alle soglie della pensione che era stato rimosso dall’incarico di vicepresidente della società: “RINGIOVANIMENTO e MODERNIZZAZIONE”, aveva motivato l’amministratore delegato. Disfattismo però non aveva mai smesso di sentirsi il capo e tutti i giorni girava per i corridoi, urlando all’indirizzo degli impiegati. Non aveva importanza che avessero commesso azioni scorrette, ogni scusa era buona per palesarsi senza avvisare e seminare ramanzine dai toni stridenti. “Hanno aspettato anche troppi anni per rimuoverti dall’incarico! Non c’è nulla di costruttivo nelle tue critiche! A urlare siamo bravi tutti, avrebbero dovuto assegnarla a me la tua mansione tempo fa, ora sì che si vedrebbe qualche beneficio!”, incalzava Invidia. Disfattismo rimandava al mittente le accuse, le rispondeva che la sua lingua era tanto tagliente quanto disonesta e che pur di far carriera sarebbe stata capace di… Nessuno seppe mai di cosa si sarebbe macchiata la coscienza Invidia per ottenere una promozione perché il diverbio era stato interrotto da Lamento: “Anche io sono stato declassato, nonostante fossi super-efficiente. Adesso mi sforzo il minimo indispensabile, non ho più voglia di slanci inutili, ci sono tanti giovani qua, ci pensino loro! E poi ho nove clienti che seguo da solo, gli altri incarichi mi sono stati rifilati: posso eseguirli anche male dunque, sono giustificato. BUONPROPOSITOOOOOOOOO! Aspettiamo una telefonata alle 14, te l’ho detto già quattro volte stamattina: corri immediatamente a rispondere!
La ragazza sgusciò fuori dalla mensa senza aver finito il pranzo, come capitava ormai da parecchi giorni; aveva avuto per un attimo voglia di rispondere per le righe, ma poi aveva deviato pensiero e direzione, camminando verso la macchinetta del caffè. Lì scoprì che le cialde erano state consegnate in sua assenza ed erano chiuse in involucri color pastello, la vista di quei colori la rasserenò. Bevve un caffè gustoso nella più piacevole delle solitudini e si recò in stanza. Erano le 14.01. Il telefono trillò. “Buonasera, qui EnerSol, con chi ho il piacere di parlare?”. “Salve, sono la dottoressa Speranza, volevo confermare la fornitura dei pannelli solari di cui avevo accennato al capoufficio, c’è o posso lasciar detto a lei?”. “Piacere di conoscerla, dottoressa Speranza, che bel cognome! Può fare come preferisce, io sono solo la segretaria, posso appuntare la notizia e riferirla.”. “Benissimo. Senza offesa, ma il suo referente sembra essere il depositario di tutti i mali del mondo. Se non aveste dei prezzi così competitivi avremmo ordinato la fornitura altrove. Ci sono possibilità che possa ascoltare una voce piacevole come la sua più spesso? Sa, noi abbiamo sedi in tutta Europa, siamo ricoperti di lavoro, ma abbiamo una sola mission: il benessere. Economico principalmente, eppure anche gli idioti sanno che per arrivare a raggiungerlo bisogna coltivare prima quello interiore. È d’accordo, signorina …?”. Buonproposito si illuminò: “Buonproposito, mi chiamo Buonproposito, e la sua affermazione arriva a portare luce in una giornata che sembrava grigia. Lei in questo modo ha appena superato le cialde colorate del caffè, ehm… mi scusi, come affermazione può sembrare ridicola, ma le assicuro che non lo è, GRAZIE!”.
Le due donne si accordarono: poiché Lamento non avrebbe interrotto la pausa pranzo per nessun motivo al mondo, la dottoressa Speranza avrebbe chiamato ogni lunedì alle 14; in questo modo a interfacciarsi sarebbero state sempre loro due. Iniziarono a sentirsi spesso e a trattenersi al telefono fino al termine della pausa pranzo. Speranza amava di Buonproposito la creatività, la capacità di far fronte alle difficoltà impreviste senza mai perdersi d’animo o tirarsi indietro. Buonproposito, dal canto suo, iniziò a fantasticare sulla voce di quella donna: calda come la zuppa che le preparava sua madre quando rientrava troppo tardi, e matura come una prugna che ha preso il sole sui quattro lati; accogliente come un rifugio quando ti sorprende un acquazzone e imperativa quando occorreva, ma mai scortese. La immaginava simile a un cigno, elegante e soffice.
Un giorno purtroppo Lamento rientrò prima del previsto, era insieme a Disfattismo e Invidia e cercavano qualche cosa da demolire. Buonproposito non si accorse del loro ingresso, intenta com’era a chiacchierare con la dottoressa Speranza; stava mangiando un toast e prestava cura a masticare senza far rumore quando non era il suo turno di parola. I tre si avventarono sulla ragazza con una serie di accuse malevole e infondate: Lamento la accusò di non essere produttiva e di non lavorare abbastanza, ma la situazione peggiorò dopo che le ebbe strappato la cornetta di mano ed ebbe identificato la voce dall’altro capo del telefono. A quel punto intervenne Invidia che la incolpò di voler fare velocemente carriera, sottraendole il cliente più importante del momento. Disfattismo ne approfittò per dimenticare ancora una volta che non aveva più mansioni direttive e aggredì anch’egli verbalmente la ragazza: le disse che quelle cose non sarebbero mai potute accadere quando aveva lui le redini dell’azienda e che era solo un’insignificante arrivista che non sarebbe giunta da nessuna parte se non per direttissima alla porta di uscita! Insieme i tre scrissero una lettera al Direttore Generale, in cui sostenevano di aver visto Buonproposito mettere le mani in cassetti destinati a documenti riservati e di trascorrere ore ed ore al PC dell’ufficio navigando in Internet per affari personali. Conclusero che si era lamentata con la dottoressa Speranza dell’assenteismo continuo dei suoi capi, inducendola, per sveltire le pratiche, a relazionarsi esclusivamente con lei.
Buonproposito fu messa alla porta in malomodo. Invidia rideva, Disperazione era sinceramente dispiaciuta ma non disse una parola, come tutte le persone che vengono trascinate in un bosco oscuro dal proprio dolore e smettono di cercarne la via d’uscita, favorendo così, senza neanche rendersene conto, l’ingresso di altri nella loro stessa perdizione. Buonproposito tornò a casa e, per la prima volta dopo tanti mesi di ingiustizie, pianse. “Cosa penserà di me la dottoressa Speranza? Non mi hanno dato il tempo di salutarla, né di darle spiegazioni. Credo che sia tua coetanea, mamma, non ci siamo mai incontrate ma sono sicura che abbia una fossetta sotto il mento come la tua, e che sappia parlare ai cani, come facesti tu con Frida quando la salvasti, ricordi? Ero partita per il Messico e lei pensava che l’avessi abbandonata, si stava lasciando morire di fame, se non fosse stato per te oggi non ci sarebbe. Mamma, anche la dottoressa Speranza penserà che sono andata via senza salutare, che sono scappata, che ho commesso una cattiva azione?”. La mamma, intenerita, la guardò scuotendo il capo ed asciugandole le lacrime. “Amore, perché ti chiami così, lo ricordi? Necessita che te lo racconti ancora una volta. Io e papà abbiamo perso due fratellini prima di te, avevano già i nomi anche se non sarebbero mai nati, si chiamavano Furore e Buonsenso. Erano gemelli e noi immaginammo che il primo sarebbe stato passionale, pieno di euforia e di istinto, ma che a causa di queste caratteristiche si sarebbe messo facilmente nei guai e che il secondo lo avrebbe compensato seguendolo con la sua ragionevolezza sempre, anche da lontano. Senza riflettere si prendono decisioni sbagliate, piccola mia, e si arriva sempre a conclusioni azzardate. Dopo tanto tempo sei comparsa tu. Come una nevicata in agosto in Basilicata, una pioggia incessante nel Sahara, la siccità a Meghalaya; sei arrivata miracolosamente, come tutte le cose che prima o poi smettiamo di rincorrere perché abbiamo il terrore di immaginarle reali, e così facendo impariamo la rassegnazione. Il contrario della rassegnazione sei tu, Buonproposito, non voglio sentire più queste sciocchezze: la dottoressa Speranza ti conosce, fa’ in modo di trovarla e raccontale la verità!”.
Nelle settimane che seguirono la dottoressa chiamò spesso alla EnerSol chiedendo di Buonproposito. Le rispondevano che la ragazza dai capelli rossi aveva avuto un’altra offerta di lavoro ed era scappata via senza neanche rassegnare le dimissioni. Una volta le dissero che aveva fatto pervenire una lettera da un legale in cui chiedeva un risarcimento danni per molestie. Nessuno le fornì mai un recapito dove poterla rintracciare. Ad aprile, quando erano già trascorsi diversi mesi dal suo licenziamento, Buonproposito andò con Resistenza e Fiducia – le sue migliori amiche – al monte San Costanzo. Frida, scodinzolante, si accomodò in auto e le tre ragazze partirono. Era una giornata primaverile e dopo aver salito il sentiero faticoso che conduce sulla sommità del monte, sistemarono a terra i propri tappetini, stando attente a non calpestare nessun fiore. Frida giocava rincorrendo qualcosa o qualcuno che appariva soltanto a lei e le tre amiche parlavano dei propri progetti, di Lamento, Invidia e Disfattismo che si palesavano, sotto diverse spoglie, nelle vite di ciascuna di loro. Cercavano di camuffarsi, cambiavano nome, ma non serve a niente cambiare il proprio nome se l’animo rimane immutato. Per cambiare identità bisogna cambiare il modo di vedere le cose.
Mentre erano intente a conversazioni di questo tipo, Frida si allontanò molto e allora Fiducia si spaventò, sapeva quale importanza avesse per l’amica quel cane scampato alle tempeste. Resistenza allora, da sempre la più coraggiosa tra loro, andò a cercarla ma non la trovò e tornò delusa e vinta. Buonproposito sussultò: “Ho in tasca il nostro amuleto invisibile, è arrivato il momento di farmi vedere se avete davvero imparato a fischiare!”. Al fischio triplo Frida comparve, era con un altro pastore tedesco più vecchio che aveva il pelo lucente e lo sguardo affilato come quello degli umani. Buonproposito corse incontro ai cani e vide alle loro spalle una sagoma. Nello specchio del lago alla sua sinistra l’acqua rimandava l’immagine di un cigno, ma davanti a lei c’era una donna! Le si appropinquò e la ragazza capì: era la dottoressa Speranza, l’aveva trovata!”.
“Hai i capelli rossi come dicono in ufficio, ma contrariamente a quanto mi hanno riferito, sono bellissimi e lucenti. Ho riflettuto a lungo sulla sorte delle persone che ti hanno cacciata, ormai l’azienda è mia, l’ho comprata. Poiché non sono riuscita a pervenire a nessuna decisione, ho pensato che l’avresti trovata tu. Queste sono le chiavi della EnerSol. Domani mattina sarai tu ad aprire. Ho convocato tutto il personale per le 12, in modo da darti il tempo di riflettere e decidere cosa fare, so che la vendetta non ti appartiene e che farai la cosa giusta. Il tuo nuovo ufficio è al primo piano, ho fatto dipingere ogni parete di un colore pastello, se ricordo bene ti facevano sentire al sicuro, ti ispireranno. Non sei obbligata a mantenere in carica nessuno né a licenziare nessuno, ma allo stesso tempo sarai giustificata qualora volessi declassare chi ti ha trattata male. Io sono anziana ormai, come puoi notare. Ne ho viste di cattiverie, ma non ho mai smesso di credere nelle persone che hanno una luce dentro e la inseguono ad ogni costo. Quella luce io potevo solo sentirla per telefono, mentre ora la vedo. Ti ho portato una cosa, ti servirà. Sarà il nostro segreto”.
La dottoressa tirò fuori dalla borsa la boccetta dell’olio misterioso di cui si serviva Lamento per diffondere il malumore, avrebbe aiutato Buonproposito a far scivolare più velocemente il suo ottimismo, la sua tenacia. La ragazza dai capelli rossi annuiva in silenzio, annuiva a tutto, facendo sì con la testa mentre incredula ascoltava quello che le pareva essere soltanto un sogno. Si pizzicò le guance più e più volte mentre la sagoma della dottoressa si allontanava: non scompariva mai, era là, sempre più in miniatura, a ricordarle che era tutto vero. Le restava solo una domanda: come aveva fatto la dottoressa Speranza a trovarla?
Ormai sola, si girò d’istinto verso il lago. Lo specchio d’acqua le rimandò l’immagine di sua madre, che le strizzò l’occhio e le disse: “Ti aspetto per cena, non fare tardi, hai da sistemare un bel po’ di cose domani.”