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Quando muore Dylan


Quando muore Dylan, muore una parte di tutti quelli che sono stati adolescenti negli anni ‘90.
Quando muore Dylan, realizzi che per guardare la parte piena d’incanto della tua vita, devi voltarti indietro.
Quando muore Dylan, muore la tv condivisa, le corse affannate per un programma che avresti potuto vedere solo in quel momento, perché non fruibile – così poco poeticamente – on demand.
Quando muore Dylan, muore il primo bello e maledetto che hai sognato di avere accanto, il cui stereotipo sapevi essere necessariamente da evitare, ma che sarebbe stato fatalmente inevitabile.
Quando muore Dylan, muore quel personaggio che metteva d’accordo uomini e donne, quello di cui non potevi dire “Non mi piace”, se non rischiando di voler essere falsamente anti-convenzionale.
Quando muore Dylan, d’istinto stacchi il cervello dai problemi quotidiani, dalla famiglia acciaccata, dal malgoverno italiano, dalle piccole e grandi delusioni dell’amore e del lavoro. Si spalanca uno spazio nella mente e nel cuore, e glielo dedichi interamente, pensando che il remake non lo avresti tollerato – sarebbe stato grottesco – ma ora più che mai non ha motivo di esistere.
Quando muore Dylan, muore di nuovo anche Lucio Dalla, in questa prima settimana di marzo che dovrebbe essere l’annuncio della primavera, e che invece pare aver subito il peggiore dei malefici.
Quando muore Dylan,
te lo immagini da un’altra parte, ancora una volta con la sigaretta in bocca e quelle rughe sulla fronte così inspiegabilmente sexy.
E niente… quando muore Dylan, ed è pure lunedì, il passo verso una gran bella settimana di merda è brevissimo.
Ciao, Luke.
Cresciuta insieme a te,
morta oggi un pochino insieme a te.

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